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dea del caso, del destino, della fortuna e della fertilità Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Fortuna è una figura della religione romana, la dea del caso e del destino, festeggiata come Fors Fortuna[1] il 24 giugno dai romani.
«...nam si a me regnum Fortuna atque opes
eripere quivit, at virtutem non quiit.»
«...di regno e di ricchezze la Fortuna
poté privarmi, non del mio valore»
«O diva gratum quae regis Antium»
«alla Fortuna o dea, che governi la tua amata Antium»
Fortuna era una divinità antica, forse precedente alla fondazione di Roma anche se i romani ne attribuivano l'introduzione del culto a Servio Tullio, il re che più, fra tutti, fu favorito dalla Fortuna, alla quale dedicò ben ventisei templi nella capitale, ciascuno con un'epiclesi diversa. Si racconta anche che ella l'avesse amato, benché egli non fosse che un mortale e avesse l'abitudine di entrare a casa sua attraverso una finestrella. Una statua del re Servio Tullio si ergeva nel tempio della Dea.
«Gli annali di Preneste raccontano che Numerio Suffustio, uomo onesto e ben nato, ricevette in frequenti sogni, all'ultimo anche minacciosi, l'ordine di spaccare una roccia in una determinata località. Atterrito da queste visioni, nonostante che i suoi concittadini lo deridessero, si accinse a fare quel lavoro. Dalla roccia infranta caddero giù delle sorti incise in legno di quercia, con segni di scrittura antica. Quel luogo è oggi circondato da un recinto, in segno di venerazione, presso il tempio di Giove bambino, il quale, effigiato ancora lattante, seduto insieme con Giunone in grembo alla dea Fortuna mentre ne ricerca la mammella, è adorato con grande devozione dalle madri. E dicono che in quel medesimo tempo, là dove ora si trova il tempio della Fortuna, fluì miele da un olivo, e gli aruspici dissero che quelle sorti avrebbero goduto grande fama, e per loro ordine col legno di quell'olivo fu fabbricata un'urna, e lì furono riposte le sorti, le quali oggidì vengono estratte, si dice, per ispirazione della dea Fortuna.»
La Fortuna era una dea dal carattere doppio, ma sempre positivo (altrimenti si parlava di Sors, la sorte):
La dea veniva venerata con diversi attributi:
Il suo corrispettivo nella mitologia greca è la dea Tyche.
Nel De consolatione philosophiae, scritto attorno al 524 d.C. mentre attendeva la sua esecuzione, il celebre filosofo e statista Severino Boezio riflette sulla visione teologica del casus, i cui capricciosi e spesso rovinosi mutamenti sono in realtà tanto inevitabili quanto provvidenziali, per cui persino i più inspiegabili e accidentali eventi fanno parte del nascosto piano di Dio, a cui nessuno può resistere o può cercare di opporsi. Secondo questa concezione, gli eventi, le decisioni umane e persino l'influsso degli astri fanno tutti parte della volontà divina.
L'immagine iconografica della ruota della fortuna, che accompagna l'immaginario medioevale ma non solo, è una diretta eredità attinta dal secondo libro dell'opera di Boezio. La sua immagine appare così ovunque, dalle miniature dei manoscritti alle vetrate delle cattedrali, di cui c'è un bellissimo esempio nella cattedrale di Amiens, e persino nel gioco dei Tarocchi.
Dalla fine del Quattrocento in avanti l'iconografia della Fortuna si presenta con una quantità straordinaria di varianti, con le quali incisori e pittori volevano sottolineare i più diversi comportamenti della dea. Lo studioso Giordano Berti ha individuato le seguenti tipologie:
Frequente altresì la sua contrapposizione a Mercurio, patrono dell'ars naturam adiuvans, ossia dell'ingegno e del raziocinio umano capaci di perfezionare, correggere ed eventualmente domare la forma naturale delle cose: nell'iconografia come in letteratura, Mercurio compare solidamente stante su un cubo, al contrario della Fortuna, la cui sfera è rappresentazione di assoluta precarietà[2].
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