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specie di uccello Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il falco pellegrino (Falco peregrinus Tunstall, 1771) è un uccello rapace della famiglia dei Falconidi diffuso quasi in tutto il mondo: Europa, Asia, Africa, Nordamerica, Sudamerica e Oceania.[2][3] Nel nome scientifico la parola peregrinus (utilizzata per indicare la specie) fa riferimento alla colorazione scura delle penne del capo, che ricordano un cappuccio nero simile a quello che erano soliti indossare i pellegrini.
Falco pellegrino | |
---|---|
Falco peregrinus | |
Stato di conservazione | |
Rischio minimo[1] | |
Classificazione scientifica | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Animalia |
Sottoregno | Eumetazoa |
Superphylum | Deuterostomia |
Phylum | Chordata |
Subphylum | Vertebrata |
Superclasse | Tetrapoda |
Classe | Aves |
Sottoclasse | Neornithes |
Superordine | Neognathae |
Ordine | Falconiformes |
Famiglia | Falconidae |
Sottofamiglia | Falconinae |
Genere | Falco |
Specie | F. peregrinus |
Nomenclatura binomiale | |
Falco peregrinus Tunstall, 1771 | |
Areale | |
estivante e nidificante nidificante svernante di passo |
Il falco pellegrino è noto per l'elevata velocità. Si ritiene possa raggiungere in picchiata una velocità massima di 385 km/h[4] e ciò lo rende l'animale più veloce del pianeta.[5][6]
Il falco pellegrino ha una lunghezza compresa tra 35 e 58 cm, e un'apertura alare di 80–120 cm.[7][8] Maschi e femmine hanno piumaggio simile ma, come in molti altri rapaci, sono caratterizzati da un marcato dimorfismo sessuale per cui le femmine sono circa il 30% più grandi dei maschi.[9][10] Il peso varia quindi dai 439-850 g dei maschi, ai 750-1250 g delle femmine. Le fluttuazioni dei valori tengono conto anche delle sottospecie.
Il dorso e le ali appuntite degli adulti sono solitamente di un colore che va dal nero bluastro al grigio ardesia, con alcune striature caratteristiche delle sottospecie. La punta delle ali è nera.[8]
La parte inferiore è striata con sottili bande marrone scuro o nere.[11] La coda, dello stesso colore del dorso ma con striature nette, è lunga, sottile e arrotondata alla fine con una punta nera e una banda bianca a ciascuna estremità. La testa nera contrasta con i fianchi chiari del collo e la gola bianca.[12] La "cera" del becco e le zampe sono gialle, mentre il becco e gli artigli sono neri.[13] La punta del becco ha un intaglio, risultato di un adattamento biologico, che permette al falco di uccidere le prede spezzando loro le vertebre cervicali del collo.[7][10][14]
I giovani immaturi sono caratterizzati da un colore più bruno con parti inferiori striate invece che barrate; la "cera" e l'anello orbitale è blu pallido.[7]
Il falco pellegrino è facilmente distinguibile dalla poiana comune (Buteo buteo) per il suo corpo compatto e la sua silhouette più agile, le ali sono strette e a punta e non larghe e frangiate all'estremità come nella poiana. Notevoli sono i suoi colpi d'ala veloci e vigorosi che nella poiana sono più lenti. Meno facile è distinguerlo dal gheppio, più piccolo e snello, con la coda poco più lunga, ma per il resto simile. Il falco pellegrino, a differenza del gheppio, non assume mai il cosiddetto "atteggiamento dello Spirito Santo" durante la caccia, utile per la cattura di insetti e roditori, che consiste nel librarsi fermo nell'aria grazie a piccoli movimenti delle ali e della coda.
I metodi di caccia del falco pellegrino sono tutti condizionati dalle sue caratteristiche fisiche. Il falco pellegrino è un abile cacciatore in grado di attaccare anche le prede a mezz'aria. Contrariamente a quanto si crede, esso non è in grado di volare in orizzontale a velocità importanti. R. Meinerzhaghen ha cronometrato numerosi esemplari in inseguimento di prede, potendo constatare che la velocità massima va collocata fra i 105 e i 110 chilometri orari: insufficiente, per esempio, per raggiungere il colombaccio (Columba palumbus) o il piccione (Columba livia) o ancora la maggior parte delle anatre selvatiche, cioè molte delle sue prede principali. Al contrario, nella picchiata, il falco pellegrino è imbattibile. Mebs ha cronometrato più volte un esemplare, lanciatosi dal campanile della cattedrale di Colonia, a velocità fra i 252 e i 324 chilometri all'ora.
Ma il falco, normalmente, caccia da altezze ben maggiori, dalle quali dovrebbe raggiungere e forse superare[senza fonte] la velocità limite di cui il suo corpo, ad ali chiuse, è capace (in breve, velocità critica è quella che un corpo, di determinati peso e forma, può raggiungere, accelerato dalla forza di gravità e rallentato dalla resistenza dell'aria). Hangte, nel 1968, ha potuto calcolare che la velocità critica del falco pellegrino è da collocarsi fra i 368 e i 384 chilometri all'ora.
Un'altra caratteristica importante del falco pellegrino è la rigidità delle penne remiganti, importante per la manovrabilità alla fine della picchiata. Ma penne rigide significa anche penne fragili. Quindi la cattura deve sempre avvenire in spazi aperti, evitando il rischio di colpi con rami e perfino fogliame. In conseguenza, la strategia di caccia del falco pellegrino consiste nel tentativo di portarsi in posizione dominante nei confronti della probabile preda. Questo può essere ottenuto in uno dei seguenti modi: trovare un posatoio in posizione elevata, per esempio su un monte; guadagnare quota, quasi sempre sfruttando una termica, e poi pattugliare dall'alto i terreni favorevoli, e infine, più di rado, aggredire una preda dal basso, spingerla a fuggire verso quote altissime e, se è capace di portarsi sopra di lei, infine inseguirla in picchiata.
La cattura vera e propria avviene con la cosiddetta "stoccata", un colpo sferrato con entrambi gli artigli, che dovrebbe tramortire, sbilanciare, o ferire la preda, che cade a terra, dove viene uccisa con il potente becco. Più raramente il falco ghermisce la preda (come invece fanno i falchi che cacciano all'inseguimento). Mai la colpisce con il becco o (come sostiene qualche antico testo) con il petto. Da quanto abbiamo detto, si può capire che, salvo su terreni innevati o molto nudi, il falco pellegrino non caccia mai a terra e mai animali terrestri. Il fabbisogno quotidiano del falco pellegrino è pari a circa 140 grammi di carne. Con i bocconi inghiotte volentieri un poco di piume, che poi rigetta il mattino dopo, prima di riprendere le attività venatorie.
La specie nidifica in zone rocciose (rupi, faraglioni) e si spinge anche agli edifici urbani che vanno dai ruderi e le cascine abbandonate, fino ai grattacieli. Dal nido i partner possono coprire grandi distanze in volo solo per cacciare. I partner di una coppia di falchi pellegrini rimangono insieme perlopiù per tutta la vita e si accoppiano nuovamente in caso di morte di uno dei partner. La durata della cova dura dai 32 ai 37 giorni, in funzione della latitudine e dalla percentuale di umidità della zona prescelta per la cova. La covata può prevedere da 2 a 6 uova (casi eccezionali) con solitamente 3/4 uova come standard usuale.
Il falco pellegrino raggiunge in media un'età massima di 17 anni allo stato brado, ma sono stati osservati in cattività casi in cui dei soggetti superavano l'età di 20 anni.
Il falco pellegrino è stato uccello dell'anno nel 1971.
Il falco pellegrino ha una distribuzione cosmopolita: può contare 21 sottospecie che popolano l'intero globo con esclusione dei poli, ciò determina un adattamento dedicato alle più svariate condizioni ambientali, dalla tundra artica ai deserti australiani. In Italia caccia prevalentemente in spazi aperti ed è perciò osservabile in quasi tutti i biotopi - tuttavia prevalentemente negli spazi aperti e sui bacini lacustri con abbondanza di uccelli. In alcune città si è pure urbanizzato.
Cova anche in strutture architettoniche prominenti in alti palazzi come campanili delle chiese, vecchie fabbriche dove caccia prevalentemente piccioni (p.es. a Gottinga). Esempi di nidificazione in città italiane sono le tre coppie di falchi che hanno nidificato nella primavera 2013 sulla cima della Lanterna di Genova[15] e la coppia che a Milano nel 2014 ha nidificato nel sottotetto del grattacielo Pirelli, a 125 metri dal suolo[16]. Più recente è il caso della coppia che nel 2016 si è riprodotta sul campanile del Monastero di San Giovanni a Parma, dando alla luce ben quattro pulli[17]. Nel 2017 nuovamente una coppia di falchi pellegrini, Giulia e Giò, ha nidificato nel sottotetto del grattacielo Pirelli a Milano dando alla luce tre piccoli falchi, tornati nel marzo 2019 hanno deposto tre uova schiuse il 12 aprile; nuovamente tornati nel gennaio 2020, nell'aprile 2020 sono nati tre piccoli, nello stesso mese del 2023 sono nati altri quattro piccoli e nel 2024 l'evento si è ripetuto, nei primi giorni di aprile sono nuovamente nati quattro piccoli, dei quali si può seguire la crescita tramite una webcam sul sito Mediaportal della Regione Lombardia[18]. In natura il falco pellegrino predilige ripide rupi come luogo di cova, molto più raramente nidi abbandonati di altri rapaci.
Nella città di Bologna una coppia di falchi pellegrini dal 2000[19] nidifica su una delle torri del distretto della Fiera di Bologna, torri progettate da Kenzō Tange, per la precisione al 13º piano della torre civico 38. Ormai ogni anno curiosi e appassionati, armati di binocolo si appostano per osservare le evoluzioni delle coppie e dei pulli. Un'altra coppia si è stabilita dal 2006 in una nicchia della Basilica di San Petronio[20].
Sono state descritte numerose sottospecie di falco pellegrino e di queste 19 sono accettate dall'Handbook of the Birds of the World.[7][10][21]
Il falco pellegrino è considerato un superpredatore. Come tale le sue popolazioni sono soggette a notevoli variazioni, dovute alle fluttuazioni delle popolazioni delle prede (quasi esclusivamente uccelli), alle persecuzioni messe in atto dall'uomo (per esempio la sistematica distruzione di esemplari nelle Highlands scozzesi, dove i falchi predano prevalentemente le pernici bianche (Lagopus lagopus), o durante la seconda guerra mondiale, quando il Governo inglese tentò, senza riuscirvi, di distruggere la specie per proteggere il traffico dei piccioni viaggiatori, usati per tenere i contatti con la Resistenza francese).
Nonostante questo, intorno al 1950, vi erano nel mondo numerosi falchi pellegrini: da 9 320 a 12 470 coppie in Europa, escludendo la Russia (D. Ratcliffe 1993); da 10 600 a 12 000 coppie in Nord America (Cade e Burnham 2003); da 3 000 a 5 000 coppie in Australia (Cade 1982); senza beninteso poter calcolare la consistenza delle popolazioni, mai studiate in quell'epoca, del resto del mondo. In Europa occidentale e in America settentrionale, poco dopo il 1950, ebbe inizio un autentico tracollo che portò alcune popolazioni al completo collasso. Per esempio, quella statunitense a est delle Montagne Rocciose scomparve completamente, mentre rimasero circa trenta coppie negli Stati occidentali (Cade e Burnham 2003). In Europa centrale e settentrionale si ebbe parimenti una quasi totale scomparsa e in Inghilterra si passò dalle circa 700 coppie del 1955 (S. Cramp, 1980) alle 68 del 1962 (D. Ratcliffe 1980). Resistettero invece quasi tutte le popolazioni del Mediterraneo (S. Cramp 1980).
In seguito al bando del DDT, alla rigorosa protezione dei siti di nidificazione dal prelievo di uova e nidiacei per la rinascita della falconeria e agli importanti interventi di reintroduzione, le popolazioni, a partire dagli anni settanta ebbero una progressiva e quasi totale ripresa. La specie, fra l'altro, si adatta volentieri alla presenza dell'uomo, tanto da nidificare spesso nei palazzi cittadini.
Da molti secoli, in Europa, collezionisti di uova, guardiacaccia e allevatori di piccioni viaggiatori hanno prelevato un costante, e talora pesante, tributo di uova, giovani e adulti di falco pellegrino, ma la popolazione complessiva ha resistito, nonostante una forte mortalità giovanile[37]. Intorno al 1955 molte popolazioni hanno conosciuto un'importante decrescita: si osservavano con frequenza esemplari morti ma, soprattutto, si trovavano le uova, rotte nei nidi abbandonati.
Molti ricercatori, da entrambi i lati dell'Atlantico, cominciarono a intuire che la causa potesse essere l'inquinamento da insetticidi clorurati (DDT e, in particolare, DDE). Ma fu Ratcliffe (studiando uova di collezioni museali) a dimostrare che, fra il 1945 e il 1947, contemporaneamente all'introduzione massiccia di questi prodotti in agricoltura, i gusci delle uova di falco pellegrino, improvvisamente, avevano cominciato a perdere spessore. I biologi, in particolare D. S. Miller poterono successivamente dimostrare che gli insetticidi in questione provocano un'alterazione enzimatica dell'anidrasi carbonica e del calcio ATPasi, che trasportano il calcio dalla circolazione sanguigna della femmina al guscio in formazione dell'uovo. Le stesse alterazioni, e la stessa catastrofe, si riscontravano in altri falconiformi, in particolare in quelli che si nutrono principalmente di uccelli, per esempio nello sparviero. Le modalità di avvelenamento erano da individuare nella catena alimentare: insetto-uccello insettivoro-falco. La discrepanza fra gli anni dei primi massicci avvelenamenti e quelli degli effettivi collassi delle popolazioni è spiegata con la sopravvivenza degli adulti, più resistenti all'avvelenamento, la cui mancata riproduzione portò a effetti visibili solo alcuni anni più tardi.
In considerazione del valore sentimentale che lega l'uomo a questa mitica specie, fin dai tempi degli antichi Egizi e per la falconeria, in pochi anni ci si convinse a bandire, l'uso di DDT e DDE, almeno in Europa e America settentrionale. Contemporaneamente furono rinforzate le tutele nei confronti delle predazioni tradizionali da parte dell'uomo: falconeria, difesa della selvaggina e dei piccioni viaggiatori. Prelievi che erano tollerabili in epoche di popolazioni abbondanti, non lo erano certo più quando la specie sembrava sull'orlo dell'estinzione. In Europa e in particolare nelle Isole britanniche le popolazioni residue di falchi si dimostrarono sufficienti a una ripresa spontanea. Vi furono piccoli nuclei di esemplari riprodotti e rilasciati (in Francia, a Pavia, in Inghilterra), ma solo a scopo di studio. Negli Stati Uniti e in Canada, invece, la specie era praticamente scomparsa. Un gruppo di studiosi facenti capo alla Cornell University, sotto la guida di Tom J. Cade fondò il Peregrine Fund, con lo scopo di riprodurre in cattività e successivamente liberare i falchi pellegrini. L'operazione ebbe un successo completo, tanto che nel 2003 si potevano contare complessivamente 2 000 coppie nidificanti, che occupavano quasi gli stessi ambienti di prima del tracollo, e in più molto numerosi, le aree urbane.
A oggi la popolazione italiana di falchi pellegrini conta almeno un migliaio di coppie nidificanti e altrettanti numerosi esemplari, concentrati prevalentemente in Sicilia e Sardegna. Numerosi sono gli esemplari concentrati nell'Appennino settentrionale (grazie anche alle introduzioni di Pavia di cui i discendenti hanno colonizzato nuovi spazi) e anche in Lombardia negli ultimi anni, in particolare presso le città di Milano e Como.
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