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archivio in accadico cuneiforme e altri idiomi che comprende corrispondenza diplomatica fra l'antico Egitto e regni antico-orientali vicini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Le cosiddette lettere di Amarna sono un lotto di circa 380 documenti[N 1][1], redatti in cuneiforme su tavolette di argilla, rinvenute nel 1887 nel Medio Egitto, ad Amarna, l'area di scavi intorno all'antica Akhetaton, città fondata nella seconda metà del XIV secolo a.C. da Akhenaton, faraone egizio della XVIII dinastia[2].
L'archivio risale al periodo in cui Akhenaton spostò la capitale da Tebe ad Akhetaton e comprende testi databili da Amenofi III (prima metà del XIV secolo a.C.) ai primi anni di regno di Tutankhamon, per un totale di poco più di venticinque anni (1360-1330 a.C. ca. o 1370-1350 a.C., secondo altre cronologie[3]), un periodo spesso indicato come "età amarniana"[2].
Per lo più il lotto comprende corrispondenza tra i faraoni d'Egitto e altri regni del Vicino Oriente asiatico. La lingua usata nelle tavolette è soprattutto l'accadico, in particolare il babilonese medio, lingua diplomatica dell'epoca, con l'eccezione di due tavolette in ittita ed una in hurrita.
Le prime lettere furono rinvenute nel 1887 da contadini egiziani e vendute sul mercato clandestino. Dopo un primo acquisto da parte di istituzioni museali mondiali e di mercanti d'arte, delle tavolette e del luogo di ritrovamento si persero le tracce finché altri reperti analoghi vennero nuovamente messi in commercio. Diverse campagne di scavo seguirono; tra queste, la più importante è quella condotta dagli egittologi inglesi William Matthew Flinders Petrie e John Pendlebury tra il 1891 e il 1892[4].
Le lettere sono oggi sparse tra diversi musei, soprattutto presso il British Museum di Londra[N 2][5] il Museo egizio al Cairo, il Museo dell'Asia Anteriore di Berlino[N 3][6].
Delle 382 lettere oggi note (fatti salvi i numerosi frammenti esistenti), solo 32 non sono lettere o inventari allegati a lettere, ma si tratta di scritti derivanti principalmente da tradizioni degli scribi mesopotamici[N 4][7]. Le 350 rimanenti tavolette vennero molto verosimilmente rinvenute tutte nello stesso luogo identificato, da iscrizioni, come «la casa della corrispondenza del faraone, vita, prosperità e salute»[8] con ciò intendendo, molto verosimilmente, parte di un più vasto ufficio preposto specificamente alla corrispondenza in lingua straniera.
In linea di massima, l'archivio viene suddiviso in due grandi aree di interesse[9]: rapporti con sovrani stranieri indipendenti dall'Egitto e pari al faraone, detti "grandi re"[10] (per un totale di trentanove lettere e cinque allegati inventariali), tra questi comprendendo Babilonia, l'area cassita, l'Assiria del Medio Impero, Mitanni, Alashiya (forse Cipro), Arzawa; lettere, la gran parte, relative a rapporti con altri re stranieri, indicati come "piccoli re"[11], la maggior parte dei quali era vassalla dell'Egitto nell'area del Levante: Canaan, Biblo, Tiro, Damasco, Ugarit, Gerusalemme, nonché una da Sichem.
Il corpus comprende soprattutto lettere che la Corte riceve da altri re e rare sono quelle scritte in Egitto[N 5][12]. I temi delle lettere del primo gruppo sottolineano in special modo scambi cerimoniali di doni, politiche matrimoniali, felicitazioni per un'intronizzazione recente. Del secondo gruppo, la gran parte è composta da risposte dei "piccoli re" a lettere di cui non si ha conoscenza, o autonome richieste di aiuto. In particolare, ai piccoli re veniva, ad esempio, annunciato l'imminente arrivo del contingente armato delegato alla riscossione dei tributi cui corrispondeva, da parte dei destinatari, la dichiarazione dell'essere pronti ad accogliere il contingente, non disgiunta dal cogliere l'occasione per avanzare richieste di aiuto.[2]. In particolare, i re palestinesi, abituati a rapporti di reciprocità (fedeltà e tributi in cambio di protezione), stentano a comprendere l'inattività del faraone, la sua tendenza a ignorare gli appelli (espressa dal verbo qâlu, con il significato di 'tacere', 'restare fermo', analogo all'ebraico dāman)[13].
Da un punto di vista linguistico, la qualità del babilonese usato dalle diverse cancellerie rinvia alla rilevanza delle diverse scuole scribali: ad esempio, quelle palestinesi, meno autorevoli rispetto a quelle siriane, incappano in anacoluti e disseminano i testi di glosse di stampo cananaico[14].
Molto problematica appare la datazione dei testi amarniani sia in senso assoluto che relativo[N 6]; a ciò si aggiunga il problema derivante dai danni subiti dalle tavolette di argilla che, a causa di urti e del trascorrere dei millenni, sono generalmente danneggiate sui bordi ovvero là ove gli antichi archivisti e scribi erano soliti indicare il mittente, il destinatario o la datazione[15]. Studi filologici generalmente accettati in ambito accademico vogliono che l'archivio amarniano si sviluppi in un periodo che oscilla tra i 15 e i 30 anni e che gli estremi di tali periodi dipendano sommamente dall'esistenza o meno di un periodo più o meno lungo di coreggenza tra Amenhotep III e suo figlio Amenhotep IV/Akhenaton, e tra quest'ultimo e il suo effimero successore Smenkhara. Si assume, generalmente, che gli estremi siano da individuarsi tra il XXX anno di regno di Amenhotep III[N 7] e il I di Tutankhamon[16]. Tra questi estremi è stato possibile posizionare con abbastanza precisione determinati tipi di corrispondenza relativa a ben determinate aree:
Per quanto riguarda la corrispondenza hittita (lettera EA41) è bene tener presente che con il termine Huriya, usato come indirizzo personale, è possibile individuare indifferentemente Amenhotep IV/Akhenaton, Smenkhara o Tutankhamon. È inoltre ulteriore motivo di difficoltà interpretativa il fatto che, salvo rare eccezioni (comunque differentemente interpretabili in funzione della traduzione possibile), i mittenti mai si rivolgono al re cui la missiva è destinata chiamandolo per nome. Alle già citate difficoltà si aggiungano quelle derivanti proprio dai danni riportati dalle tavolette nei bordi che, in alcuni casi, lasciano la possibilità di differenti interpretazioni[N 8].
Quanto ai destinatari certi[18], è accettato in ambito accademico che 10 missive fossero indirizzate ad Amenhotep III[N 9], altrettante al figlio Akhenaton[N 10], 1 a Tutankhamon[N 11] e una alla regina Tye[N 12]. Due lettere, EA1 ed EA5, sono assegnate come scritte da Amenhotep III, mentre una, EA14, da Akhenaton. In una lettera, EA41, viene menzionato Khuri in cui si è voluto identificare Smenkhara[N 13]. Di particolare interesse, tra le altre, è la lettera EA27 indirizzata dal re mitannita Tushratta ad Akhenaton e consegnata da due messaggeri, Pirizzi e Pupri, inviati per rappresentare il sovrano ai funerali di Amenhotep III[N 14][19].
Gli studi più recenti hanno consentito la compilazione della tabella seguente che pone a raffronto i periodi di regno dei sovrani di alcuni dei Paesi con cui la Corte amarniana intratteneva rapporti epistolari:
Regno | Sovrano | Date di regno (tutte a.C.)[20] |
---|---|---|
Assiri | Ashur-uballit I | 1353 - 1318 |
Babilonia | Kadashman-Enlil I | (1364) - 1350 |
Burna-Buriaš II | 1349 - 1323 | |
Egitto | Amenhotep III | 1386 - 1349 (1390 - 1352) |
Amenhotep IV/Akhenaton | 1350 - 1334 (1352 - 1336) (1336 - 1335) | |
Smenkhara | 1336 - 1334 (1335 - 1332) | |
Tutankhamon | 1334 - 1325 (1332 - 1323/1322) | |
Ay | 1324 - 1321 (1323/1322 - 1319/1318) (o 1324 - 1319) | |
Hittiti | Šuppiluliuma I | 1380 - 1340 (1343- 1323/1322 o 1319/1318) |
Le lettere di Amarna gettano luce su un periodo, quello del Tardo Bronzo antico-orientale, denso di acute tensioni sociali ed economiche, in gran parte provocate dal progressivo indebitamento dei contadini. I contadini, per sfuggire all'asservimento, potevano cercare di fuggire verso altri Stati, ma con il diffondersi di trattati che garantivano la reciproca restituzione dei fuggiaschi dovettero optare per la protezione offerta da spazi inospitali, tipicamente le montagne e le steppe pre-desertiche, in cui si fondevano con i clan pastorali che abitavano queste aree. Questi gruppi di rifugiati erano definiti ḫabiru, termine con una possibile connessione etimologica con le più antiche attestazioni del termine "ebrei" (ʿibrî), prima che questo assumesse connotazioni etniche[21]. Tra le lettere dell'archivio amarniano, infatti, alcune provengono da Gerusalemme; in queste vengono spesso nominati i ḫabiru termine che, per assonanza, venne dapprima assegnato a predecessori delle popolazioni ebree[N 15][22]; successivamente l'identificazione venne messa fortemente in dubbio, e anzi rigettata[23], identificando gli ḫabiru più compiutamente con gli ḫapiru[24], termine generico non indicante l'appartenenza a gruppo etnico, bensì lo stato di "proscritti" o addirittura "banditi"[25].
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