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alterazione tra l'unità del verso e l'unità sintattica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'enjambement, parola francese traducibile letteralmente come «scavalcamento»[1] e resa in italiano con i termini inarcatura,[2][3] spezzatura[3][4][5] o anche accavalciamento[6], consiste nell'alterazione tra l'unità di verso e l'unità sintattica. Si tratta cioè di una figura retorica della sintassi o di un sintagma o anche di una parola causata dall'interruzione del verso, la quale induce un prolungamento del periodo logico oltre la pausa ritmica.[7]
In pratica nel seguente esempio:
«sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.»
L'unità tra sostantivo (compagna) e attributo (picciola) è spezzata dall'interruzione del verso appunto: si tratta quindi di un enjambement.
L'enjambement è evidentemente un elemento che contribuisce a determinare il ritmo di una poesia; si verifica quando due parole della stessa frase che dovrebbero stare saldamente unite, vengono spezzate tra la fine di un verso e l'inizio di quello successivo. Divide solitamente gruppi sintattici come sostantivo e attributo, soggetto e predicato, predicato e complemento oggetto, sostantivo e complemento di specificazione, copula e predicato nominale, ecc.
Seguono alcuni esempi ripresi dal sito metrica-italiana.it[8]:
«Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d'Anchise che venne di Troia.»
«Loda il vecchio i suoi detti; perché l'aura
notturna avea le piaghe incrudelite.»
«e dico ch'un splendor mi squarciò ‘l velo
del sonno, e un chiamar: "Surgi: che fai?"»
«all'alma sì: deh! Per lei prega, e dona
battesmo a me ch'ogni mia colpa lave.»
«che le ricetta. Io quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande.»
«un fatto sul quale non si rifletterà mai abbastanza che nessuna definizione del verso sia perfettamente soddisfacente, tranne quella che ne certifica l'identità rispetto alla prosa attraverso la possibilità dell'"enjambement". Né la quantità, né il ritmo, né il numero delle sillabe − tutti elementi che possono occorrere anche nella prosa − forniscono, da questo punto di vista, un discrimine sufficiente: ma è senz'altro poesia quel discorso in cui è possibile opporre un limite metrico a un limite sintattico.»
Enjambement significa "inarcatura" ed è la sfasatura che si produce tra due versi quando l'unità metrica (il verso) non coincide con un'unità sintattica e di senso. Questa cosiddetta "inarcatura" interessa due estremi del verso, quello terminale del primo e quello iniziale del secondo: l'estremo finale (l'inizio del secondo verso) si dice rejet, mentre l'estremo iniziale (la fine del primo verso) si dice contre-rejet. La terminologia è francese perché furono dei letterati francesi a inventare e usare, tra Cinquecento e Seicento, l'accezione metrica del vocabolo enjambement; la usò in particolare Nicolas Boileau, individuando la frequenza del fenomeno nella versificazione italiana e condannandola. La metrica francese tradizionale ignora infatti l'enjambement, mentre la poesia italiana ne fa un uso abbondante fin dalle origini[10].
Esso è avvertibile in quanto si distingue da una pausa linguistica alla fine del verso (come una pausa linguistica vera e propria, indicata da punteggiatura adeguata, per cui fine del verso e fine della frase coincidono; altresì come la giuntura tra due posizioni, separate generalmente da una virgola[10]; infine, come l'inarcatura sintattica, cioè un incastro di proposizioni nello spazio di più versi, oppure la rottura dell'ordine naturale nello spazio di alcuni versi da essa interessati).
Nel Cinquecento il Tasso, nel suo Discorso dell'Arte poetica, parlava di rompimento, ma malgrado si sia insistito anche nei secoli seguenti su questo termine, si è affermato definitivamente quello di enjambement. L'enjambement inizia a comparire già nel Cinquecento (ne è ritenuto inventore Angelo di Costanzo) per poi presentarsi sempre più spesso nell'Ottocento e nel Novecento[10].
A fare largo uso dell'enjambement sono gli autori del primo Cinquecento e in seguito anche Leopardi, Carducci della metrica barbara e soprattutto Pascoli. Da ultimo, le terzine di Pasolini sono piene di enjambement cui corrisponde quasi sempre una pausa forte dentro il verso[10]:
«è
tra questi muri il suolo in cui trasuda
altro suolo; questo umido che
ricorda altro umido; e risuonano.»
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