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segno con cui si rappresentano i suoni usati nella musica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Una nota, nella notazione musicale, è un segno grafico usato per rappresentare un suono. Nella musica colta moderna occidentale, le note sono scritte sul pentagramma in modo da indicare contemporaneamente l'altezza e la durata del suono. Entrambe possono essere espresse da un unico segno o possono richiedere segni aggiuntivi: le alterazioni, che modificano l'altezza, i punti e le legature di valore, che incidono invece sulla durata.
Gli antichi non conoscevano una notazione musicale propriamente detta, limitandosi a indicare i suoni della scala diatonica con le prime lettere dell'alfabeto.
Nel Medioevo, a causa della crescente difficoltà nel memorizzare melodie sempre più lunghe e articolate, nacque l'esigenza di "notare" sopra il testo da cantare alcuni segni (detti neumi) che aiutassero i cantori a ricordare la direzione (ascendente o discendente) della linea melodica. Da questi embrionali aiuti mnemonici nacque a poco a poco la moderna notazione, le cui tappe storiche fondamentali sono l'introduzione del tetragramma (attribuita a Guido d'Arezzo durante la sua permanenza presso l'Abbazia di Pomposa), e la scrittura delle durate, (inventata da Francone da Colonia) ottenuta proporzionalmente, cioè non indicando la durata effettiva della nota, ma la durata di essa in proporzione alle altre dello stesso brano. Oggi le note hanno l'aspetto di un cerchietto vuoto o pieno, su cui si innesta un gambo (piccola asticella segnata sotto o sopra la nota) e le eventuali code, utilizzate per segnare i valori più piccoli (cioè le durate più brevi).
I nomi delle note in uso nei paesi latini risalgono all'XI secolo, la definizione del criterio e la definizione del nome sono attribuite a Guido d'Arezzo; corrispondono alle sillabe iniziali dei primi sei versetti dell'inno Ut queant laxis, composto dal monaco storico e poeta Paolo Diacono:
«Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum
Sancte Iohannes»
«Affinché possano cantare
con voci libere
le meraviglie delle tue gesta
i servi Tuoi,
cancella il peccato
dal loro labbro impuro,
o San Giovanni»
Tale inno è preso dalla liturgia dei primi vespri della festa della natività di San Giovanni Battista, anticamente considerato patrono dei musicisti. Successivamente fu sostituito dall'introduzione del culto di Santa Cecilia.
Nel XVI secolo la settima nota riceve il suo nome definitivo (si, dalle iniziali di Sancte Iohannes) e nel XVII secolo in Italia la nota ut viene sostituita con il nome attuale do, da una proposta del musicologo Giovanni Battista Doni: formalmente la sillaba venne considerata difficile da pronunciare e sostituita da quella iniziale di Dominus, il Signore, benché alcuni affermino che la nota do fosse da lui presa dalla prima parte del suo cognome Doni.
Le note musicali della scala diatonica sono sette:
Le note corrispondenti a suoni che hanno frequenza pari a una potenza intera (positiva o negativa) di due rispetto alle altre sono simili: l'intervallo determinato da queste note è detto ottava. Di conseguenza sono comunemente chiamate con lo stesso nome. Pertanto, per identificare una nota in modo univoco si deve indicare anche l'ottava di appartenenza.
Se consideriamo la scala cromatica, ci sono altri suoni che si ottengono abbassando o alzando di un semitono le 7 note diatoniche mediante bemolle (♭) e diesis (♯).
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Anticamente si usava una notazione di origine greca che utilizzava le lettere dell'alfabeto. Tale notazione è ancora in uso nei paesi di lingua inglese:
A = la · B = si · C = do · D = re · E = mi · F = fa · G = sol
La notazione letterale è tuttora in uso anche nei paesi di lingua germanica e di area mitteleuropea (p. es. in Repubblica Ceca); nei paesi di lingua tedesca la lettera B indica solo il si bemolle, mentre H viene usata per il si naturale: in origine si usava solo la lettera B (minuscola: b). La differenziazione è stata causata dal sistema esacordale; nell'esacordo molle (cioè quello col si bemolle) il b era scritto con l'occhiello rotondo, mentre per l'esacordo duro (quello col si naturale) si scriveva con l'occhiello quadrato. Col tempo, il b quadrato perse il tratto orizzontale alla base e fu confuso con la lettera h, a causa della grande somiglianza dei due simboli.
I suoni omofoni (o omologhi) sono suoni che grazie alle alterazioni, possono essere espressi da note di diverso nome, pur restando i medesimi. Un suono di DO, infatti, può essere indicato graficamente con un SI#: nel nostro sistema temperato equabile, chi lo leggerà produrrà sul suo strumento il medesimo suono (es. sul pianoforte premerà il medesimo tasto sia per il DO che per il SI#)).
Ogni suono, ad eccezione del sol♯ poiché si trova al centro del tritono (fa e si), può esser chiamato e notato in tre modi. Ecco l'elenco di suoni omofoni:
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In linea di principio, la musica può essere composta da note di frequenza arbitraria. Per ragioni storiche e psicoacustiche, si è consolidato l'uso di dodici note (semitoni) per ottava, specialmente nella musica occidentale (per un'esposizione di tali ragioni vedi la voce temperamento). Queste note a frequenza fissa sono in relazione matematica fra loro e sono calcolate a partire da una nota fondamentale la cui frequenza è stabilita per convenzione. Recentemente si è stabilito che il la4 (A4), rappresentato in chiave di violino nel secondo spazio del pentagramma, corrisponda a una frequenza acustica di 440 Hz.
Ogni nota è separata dal la4 da un numero intero di semitoni. E ogni 12 semitoni, quindi ogni ottava, si ha raddoppio di frequenza. Si tratta dunque di una progressione geometrica di ragione , quindi la frequenza di una nota che dista n semitoni dalla fondamentale è data dalla formula:
Per esempio, troviamo la frequenza del do immediatamente sopra il la4 (do5). Per ottenere il do5 si devono aggiungere tre semitoni:
Il segno algebrico di n è importante; per esempio, il fa immediatamente sotto il la4 è il fa4. Si devono quindi sottrarre 4 semitoni:
Quindi:
Insomma ogni dodici semitoni si ha una frequenza doppia, l'intervallo di un'ottava.
Come si vede l'esponente della potenza è espresso in dodicesimi (1⁄12, 2⁄12, …). Risultati notevoli a partire da la4 sono:
la4 (440 Hz) × 20⁄12 restano 440 Hz
la5 (440 Hz) × 212⁄12 = 880 Hz (il doppio di 440 Hz)
la6 (440 Hz) × 224⁄12 = 1760 Hz (il doppio di 880, il quadruplo di 440)
la7 (440 Hz) × 236⁄12 = 3520 Hz (il doppio di 1760, otto volte 440)
la3 (440 Hz) × 2−12⁄12 = 220 Hz (la metà di 440)
La formula frequenza = 440 × 2n/12 Hz segue dalle seguenti considerazioni:
per esempio: La4 ha una frequenza di 440 Hz, La5 di 880 Hz, cioè doppia di La4, in formula: freq La5 = freq La4 × 2 (1)
per esempio: freq La♯4 / freq La4 è uguale a freq Si4 / freq La♯4 = c;
per esempio: freq La♯4 = freq La4 × c;
freq Si4 = freq La4 × c × c cioè freq La4 × c²
e poiché tra La4 e La5 vi sono 12 semitoni: freq La5 = freq La4 × c × c × c × c × c × c × c × c × c × c × c × c cioè: freq La5 = freq La4 × c12 (2)
dalla (1) e dalla (2) consegue che c12 = 2 e che c = radice dodicesima di 2
e con formula matematica c = 2^(1/12) = 1,0594630943593
quindi, per esempio:
La♯4 = 440 Hz × c = 440 Hz × 1,0594630943593 = 466,16 Hz Si4 = 440 Hz × c × c = 440 Hz × 1,0594630943593 × 1,0594630943593 = 493,88 Hz
Ecco, infine, la tabella delle frequenze delle varie note alle varie ottave stando alla definizione per cui La4 = 440Hz:
III | IV | V | VI | |
Do | 131 | 262 | 523 | 1047 |
Do# | 139 | 277 | 554 | 1109 |
Re | 147 | 294 | 587 | 1175 |
Re# | 156 | 311 | 622 | 1245 |
Mi | 165 | 330 | 659 | 1319 |
Fa | 175 | 349 | 698 | 1397 |
Fa# | 185 | 370 | 740 | 1480 |
Sol | 196 | 392 | 784 | 1568 |
Sol# | 208 | 415 | 831 | 1661 |
La | 220 | 440 | 880 | 1760 |
La# | 233 | 466 | 932 | 1865 |
Si | 247 | 494 | 988 | 1976 |
Le note scritte sul pentagramma sono dette anche figure musicali e possono distinguersi in figure di suono (le cosiddette note) e in figure di silenzio (le pause).
Le figure di suono, o note, sono formate graficamente da gambo, testa ed eventuali code o codette. Con questi elementi indicano e permettono di distinguere tra loro i diversi valori, ossia la durata assunta da ciascuna nota in corpo al discorso musicale.
Una nota espressa da un circoletto/ellisse vuoto e senza gambo indica una durata intera (4/4) ed è chiamata semibreve; se scriviamo un circoletto più piccolo lasciandolo sempre vuoto, ma aggiungendovi un gambo, avremo una nota che dura una metà (2/4) ed è chiamata minima, se di quest'ultima nota riempiamo il circoletto d'inchiostro, avremo una nota che dura un quarto (1/4) e la chiameremo semiminima; se a questa nota riempita attacchiamo al gambo un numero di code compreso tra 1 e 4, avremo rispettivamente note del valore di 1/8, 1/16, 1/32 e 1/64 chiamate rispettivamente croma, semicroma, biscroma e semibiscroma.
Un punto posto a fianco della testa della nota aumenta la sua durata di metà del suo valore (es. minima = 2/4; minima puntata = 3/4).
La testa di una nota è la sua parte circolare o ellittica. Le teste delle note possono essere riempite o essere lasciate vuote, per indicare (e distinguere) il valore da essa assunto (ossia la sua durata). In una semibreve, ad esempio, la testa è l'unico componente grafico della nota.
Note costituite dal solo circoletto riempito senz'altra aggiunta grafica sono spesso utilizzate per la trascrizione in notazione moderna di musiche gregoriane o comunque non mensurabili.
Il gambo o plica di una nota è la barra verticale collegata alla sua testa. È un componente presente nella minima (1/2 di semibreve), nella semiminima (1/4), nella croma (1/8), nella semicroma (1/16), nella biscroma (1/32), nella semibiscroma (1/64) e nella fusa (1/128). Se è rivolto verso il basso, si trova sul lato sinistro della testa, mentre se è rivolto verso l'alto è sul lato destro. Per motivi sia pratici sia estetici, il gambo viene solitamente scritto rivolto verso l'alto quando una o più note si situano dopo il terzo rigo del pentagramma, discendendo; al contrario, quando una o più note si situano al di sopra del terzo rigo del pentagramma, in senso ascendente, il gambo viene scritto rivolto verso il basso.
Si dice coda o codetta della nota il tratto curvilineo o rettilineo che si traccia obliquamente al gambo e che serve a indicare e distinguere il valore di durata assegnato alla nota stessa. Un tempo veniva detta taglio .
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