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prove dell'esistenza di Dio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Le Cinque vie (in latino: Quinquae viae; talora chiamate "cinque prove") sono cinque argomenti logici per provare l'esistenza di Dio, riassunti dal filosofo e teologo cattolico san Tommaso d'Aquino nella sua Summa Theologiae. Essi cercano di dimostrare l'esistenza di Dio partendo dalla natura. Sono:
Tommaso d'Aquino tratta più ampiamente il primo di questi – Dio come il motore immobile – nella sua Summa Contra Gentiles.[1]
Tommaso d'Aquino pensava che la mente umana finita non potesse sapere direttamente cosa sia l'infinità di Dio, motivo per cui l'esistenza di Dio non è evidente per noi.[2] La proposizione che Dio esiste deve essere "dimostrata" a partire dagli effetti di Dio, che ci sono più noti.[3] Tuttavia, Tommaso d'Aquino non riteneva che ciò che poteva essere dimostrato filosoficamente (cioè come rivelazione generale) avrebbe necessariamente fornito uno qualsiasi dei dettagli vitali rivelati in Cristo e attraverso la Chiesa (cioè come rivelazione speciale). La ragione naturale non dimostra l'Incarnazione e che Gesù Cristo è Dio, fatto di importanza vitale per la salvezza eterna (secondo l'extra Ecclesiam nulla salus). Ad esempio, Tommaso, riprendendo sant'Agostino, ammetteva che "in tutte le creature si trova la traccia della Trinità", sebbene "una traccia mostra che qualcuno è passato ma non chi sia".[4]
Tutti e cinque le vie sono generalmente considerate argomenti cosmologici.[5], seguendo la classificazione ideata da Kant. Tommaso d'Aquino omise vari argomenti che riteneva insufficienti o inadatti, come l'argomento ontologico proposto da sant'Anselmo di Canterbury.
Una versione sintetica delle Cinque Vie è data nella ‘’Summa theologiae’’.[6] La Summa utilizza la forma della disputa scolastica, cioè una forma letteraria basata su un metodo di lezione: si pone una domanda, poi si riassumono le obiezioni più gravi, poi si fornisce una risposta corretta in quel contesto, quindi si risponde alle obiezioni. Una successiva, più dettagliata, trattazione delle Cinque Vie si trova nella Summa contra gentiles.[1] Tommaso d'Aquino elaborò ulteriormente ciascuna delle Cinque Vie in modo più dettagliato passando in più libri.
Le prime due vie si riferiscono alla causalità. Quando Tommaso d'Aquino sostiene che una catena causale non può essere infinitamente lunga, non ha in mente soltanto una catena in cui ogni elemento è un evento precedente che causa l'evento successivo; in altre parole, non sta discutendo solo in relazione al primo evento di una sequenza. Piuttosto, secondo Anthony Kenny, la sua argomentazione è che una catena di effetti concorrenti o simultanei deve essere radicata in una causa in grado di generarli, e quindi in una causa che è prima in senso gerarchico e/o in senso temporale.[7][8]
Tommaso d'Aquino segue la distinzione trovata nella Fisica di Aristotele 8.5 e sviluppata da Simplicio, Maimonide e Avicenna, secondo cui una catena causale può essere:
«Una serie accidentale di cause è quella in cui le cause precedenti non devono più esistere affinché la serie continui. ... Una serie essenziale di cause è quella in cui il primo, e ogni membro intermedio della serie, deve continuare ad esistere affinché la serie causale continui come tale.»
Il suo pensiero qui si basa su quella che in seguito sarebbe stata etichettata come "serie causale essenzialmente ordinata" da Giovanni Duns Scoto[11], intesa come una serie causale in cui gli elementi immediatamente osservabili non sono in grado di generare l'effetto in questione, e una causa in grado di farlo è dedotta all'estremità della catena (Ordinatio I.2.43[12]).
Questo è anche il motivo per cui Tommaso d'Aquino ha rifiutato che la ragione possa provare che l'universo deve aver avuto un inizio nel tempo; poiché tutto ciò che sa e che può dimostrare è che l'universo possa essere stato "creato dall'eternità" dall'eterno Dio.[13] Egli accetta la dottrina biblica della creazione come verità di fede, non di ragione.[9]
Tommaso introduce nel modo seguente la possibilità di dimostrare l'esistenza di Dio attraverso cinque vie:
«Esiste Dio?
Sembra di no. Infatti: 1. se di due contrari uno è infinito, l'altro resta completamente distrutto. Se dunque Dio esistesse, non dovrebbe esserci il male. Quindi Dio non esiste. [...]
In contrario. in Es è detto in persona di Dio: io sono colui che è.
Riposta: che Dio esiste può essere provato attraverso cinque vie.
Le Cinque Vie sono basate sui seguenti principi[14]:
Le Cinque Vie si basano sui seguenti argomenti[15][16]:
Tutte le prove inferiscono l'esistenza dell'Essere assoluto a partire dall'ente contingente.
«[Esse] sono molteplici segni che il mondo dell'esperienza non è l'assoluto, non può essere la totalità del reale, e quindi esige l'esistenza di un Altro. Ora non è affatto strano che questi segni siano molti, anche se tutti convergono nell'indicare la contingenza (ossia il non essere da sé) del mondo dell'esperienza.»
Nel mondo, possiamo osservare almeno un certo numero di enti in mutamento. Qualunque cosa stia cambiando viene cambiata da qualcos'altro. Se ciò in virtù del quale sta cambiando subisce esso stesso un mutamento, allora anche esso viene cambiato da qualcos'altro (secondo il principio aristotelico omne quod movetur ab alio moveteur, tutto ciò che si muove è mosso da altro) Ma questa catena non può essere infinitamente lunga, quindi deve esserci qualcosa che provoca il cambiamento senza che esso stesso cambi. E questo è ciò che tutti intendono essere Dio, primo movente non mosso e immutabile.[6][17]
Tommaso d'Aquino usa il termine "movimento" nella sua argomentazione, ma con questo intende qualsiasi tipo di "cambiamento" prodotto da un agente, più specificamente un passaggio dalla potenza all’atto[18][19]: cambiamento della categoria di qualità, quantità o luogo (cfr. Fisica l. 5, c.2; 226, a, 23 - 25), ma anche generazione/ corruzione/alterazione della sostanza e i cambiamenti incorporei (come l'atto di pensare) delle sostanze separate (che sono: Dio, l'anima e gli angeli).[8] Poiché ciò che è in potenza ancora non esiste, non può crearsi da solo e può quindi essere portato all'esistenza solo da qualcosa che è già in atto, vale a dire che è già pre-esistente.[1]
La via ex motu riprende significativamente la conclusione dell'VIII libro della Fisica di Aristotele, che a sua volta deriva molti aspetti dal libro X delle Leggi di Platone. Tommaso estende il principio aristotelico dell'omne quod movetur ab alio movetur fino a comprendere non solo ogni cambiamento, ma la stessa creazione dell'universo dal nulla.[20]
Nella Summa contra Gentiles (II,16[20]) Tommaso fornì una versione più compatta dell'argomento:
Francisco Suárez contestò il principio aristotelico, notando che gli esseri eventi sono capaci di muoversi da soli e non sono mossi da altro, e che i cieli potrebbero essere mossi da una forma ad essi interna. Riformulò quindi il principio in omne quod fit ab alio fit (tutto ciò che è fatto, è fatto da altro)[22], e creò il seguente argomento:
«ogni ente o è fatto o non è fatto ed è increato; ma tutti gli esseri che sono nell'universo non possono essere fatti; dunque è necessario che ci sia qualche ente non fatto, increato ed eterno»
Nel mondo, possiamo osservare che le cose hanno una causa. Ma non è possibile che qualcosa sia causa di se stessa, perché ciò comporterebbe che esiste prima di se stessa, il che è una contraddizione. Se ciò da cui una cosa è causata è esso stesso causato, allora anche esso deve avere un'altra causa. Ma questa non può essere una catena infinitamente lunga, quindi ci deve essere una causa che non è causata da nient'altro. E questo è ciò che tutti chiamano Dio, causa prima non causata.[6][17]
Come nella Prima Via, le cause che Tommaso d'Aquino ha in mente non sono eventi sequenziali, ma relazioni di dipendenza simultanee esistenti: la causa efficiente di Aristotele. Ad esempio, la crescita delle piante dipende dalla luce solare, che dipende dalla gravità, che dipende dalla massa.[7] Tommaso d'Aquino non sta descrivendo una causa che è prima in una sequenza, ma piuttosto prima in una gerarchia: una causa principale, piuttosto che una causa derivata.[24]
Nel mondo vediamo cose che è possibile che siano e che è possibile che non siano. In altre parole, le cose sono sottoposte al divenire e sono deperibili. Ma se tutto fosse contingente e quindi suscettibile di uscire dall'esistenza, allora nulla esisterebbe adesso. In contrario, le cose chiaramente ora esistono. Pertanto, deve esserci qualcosa che è imperituro: un essere necessario. E questo essere è ciò che tutti chiamano Dio.[6][17]
L'argomento inizia con l'osservazione che le cose intorno a noi entrano ed escono dall'esistenza: gli animali muoiono, gli edifici vengono distrutti, ecc. Ma se tutto fosse così, allora, a un certo punto non esisterebbe più nulla. Alcuni interpreti leggono Tommaso d'Aquino per significare che assumendo un passato infinito, tutte le possibilità si sarebbero realizzate e tutto scomparirebbe. Dal momento che questo chiaramente non è il caso, allora ci deve essere almeno una cosa che non ha la possibilità di uscire dall'esistenza.[17] Tuttavia, questa spiegazione sembra implicare l'errore di composizione (spostamento del quantificatore).[25] Inoltre, non sembra essere conforme al principio di d’Aquino asserire che, tra le cose naturali, la distruzione di una cosa corrisponde sempre alla generazione di un'altra. Una lettura alternativa è la seguente: se c'è un cambiamento eterno, tale per cui le cose sono da sempre e per sempre generate e corrotte, e poiché un effetto eterno richiede una causa eterna (così come una conclusione necessaria richiede premesse necessarie), allora deve esistere un agente eterno che possa rendere conto dell'eternità della generazione e della corruzione. Sostenere l'alternativa, vale a dire che una serie infinita di cause contingenti sarebbe in grado di spiegare la generazione e la corruzione eterna, condurrebbe a un argomento circolare del tipo: perché esistono la generazione e la corruzione eterne? Perché c'è una serie eterna di cause che si generano e si corrompe. E perché c'è una serie infinita di cause che si generano e si corrompe? Perché c'è generazione eterna e corruzione.
Nel commentario In Evangelium Joannis l'argomento fu riproposto con riferimento alla fondamentale distinzione fra ente per essenza (Dio) e ente per partecipazione (le creature):
«tutto ciò che è qualche cosa per partecipazione rimanda a un altro che sia la stessa cosa per essenza, come a suo principio supremo. Per esempio, tutte le cose calde per partecipazione e si riducono al fuoco il quale caldo per essenza. Ora, dato che tutte le cose che sono partecipano all'essere e sono enti per partecipazione, occorre che in cima tutte le cose ci sia qualcosa che sia l'essere in virtù della sua stessa essenza, ossia che la sua essenza sia l'essere stesso. Questa cosa è Dio, Il quale è causa sufficientissima, degnissima e perfettissima di tutte le cose: da lui tutte le cose che esistono partecipano all'essere.»
Osserviamo che nel mondo esistono cose che variano nei gradi di bontà, verità, nobiltà, ecc. Ad esempio, i cerchi ben disegnati sono migliori di quelli disegnati male, gli animali sani sono migliori degli animali malati. Inoltre alcune sostanze sono migliori di altre, poiché gli esseri viventi sono migliori dei non viventi e gli animali sono migliori delle piante, a testimonianza delle quali nessuno sceglierebbe di perdere i sensi per avere la longevità di un albero. Ma giudicare qualcosa come "più" o "meno" di un'altra implica l’esistenza di uno standard in base al quale si giudica. Ad esempio, in una stanza piena di persone di varia altezza, almeno una deve essere la più alta. Quindi c'è qualcosa che è meglio e più vero, ed essere in grado maggiore, ecc. Tommaso d'Aquino aggiunge poi la premessa: ciò che è massimo in un genere è la causa di tutto il resto in quel dato genere.[6][17] Dio possiede il massimo grado di perfezione raggiungibile di tutti i generi positivi.
L'argomento è radicato in Aristotele e Platone, ma la sua forma sviluppata si trova nel Monologion di Anselmo di Canterbury.[27][28] Sebbene l'argomento presenti influenze platoniche, Tommaso d'Aquino non era un platonico e non credeva nella teoria delle forme. Piuttosto, sta sostenendo che le cose che hanno un'esistenza solo parziale o imperfetta indicano che non sono le loro stesse fonti di esistenza, e quindi devono fare riferimento a qualcos'altro come fonte della loro esistenza.[29] L'argomento fa uso della teoria dei trascendentali e in particolare della proprietà dell'esistenza. Ad esempio, "vero" presenta un aspetto dell'esistenza, poiché qualsiasi cosa esistente sarà "vera" nella misura in cui è vero che esiste: oppure "uno", nella misura in cui qualsiasi cosa esistente sarà (almeno) "una cosa".[30] La premessa che sembra causare più difficoltà agli interpreti della quarta via è che il più grande in un genere è causa di tutto il resto nel genere. Questa premessa non sembra essere universalmente vera, e anzi lo stesso Tommaso d'Aquino ritiene che tale premessa non sia sempre vera, ma solo in determinate circostanze[31], vale a dire, quando:
Quando queste due condizioni sono soddisfatte, vale la premessa che il più grande nel genere è causa di tutto il resto in quel genere, poiché nulla può dare ciò che già non possiede. Poiché Tommaso d'Aquino si occupa specificamente di trascendentali come l'essere e la bontà, e poiché non c'è nulla al di fuori dei trascendentali, ne consegue che non c'è nulla al di fuori del genere che possa essere una causa (condizione 2). Inoltre, se qualcosa ha meno del grado massimo di essere o di bontà o di verità, allora non deve avere in sé l'essere o la bontà o la verità.
Nel mondo osserviamo vari oggetti privi d'intelligenza che si comportano in modo regolare. Questo non può essere dovuto al caso, poiché allora essi non si comporterebbero con risultati prevedibili. Quindi il loro comportamento deve essere impostato. Ma non possono essere impostati da soli poiché non essendo intelligenti, non sono capaci di delineare il proprio comportamento. Pertanto, il loro comportamento deve essere determinato da qualcosa che è altro da essi e, di conseguenza, da qualcosa che deve essere intelligente. Questo essere è ciò che tutti chiamano Dio.[6][17]
Nel Libro VIII della Fisica, Aristotele identificò Dio come "causa ultima del divenire" e principio ultimo di giustificazione della physis[32], causa eterna e immobile di un movimento eterno.[33]
Questo argomento è anche conosciuto come l'argomento teleologico. Esso non si riferisce all'esistenza di un orologiaio cosmico che avrebbe sincronizzato una volta per tutte il corso degli eventi. Al contrario, come evidenzia la traduzione domenicana del 1920, la “quinta via è desunta dal governo [divino] del mondo”.[34] L'argomento non afferma che esista un fine dell'universo intero, ma che alcune cose prive di intelligenza propria abbiano comunque una finalità, che presume un'Intelligenza ordinatrice ad esse esterna.
La Quinta Via usa la nozione aristotelica di causa finale. Aristotele sosteneva che una spiegazione completa di un oggetto implicherà la conoscenza di come è diventato (causa efficiente), di quale materiale è costituito (causa materiale), di come è strutturato quel materiale (causa formale) e dei comportamenti specifici associati al tipo di cosa che esso è (causa finale).[35] Il concetto di cause finali richiama la nozione di disposizioni o "fini", vale a dire di un obiettivo o uno scopo specifico verso il quale qualcosa tende. Ad esempio, le ghiande si trasformano regolarmente in querce ma mai in leoni marini. La quercia è la "fine" verso la quale "punta" la ghianda, la sua disposizione, anche se non raggiunge la maturità. Gli scopi e gli obiettivi degli esseri intelligenti sono facilmente spiegabili dal fatto che tali enti fissano consapevolmente quegli obiettivi per se stessi. Ciò implica che se qualcosa ha un obiettivo o un fine verso il quale tende, è perché è intelligente o perché qualcosa di intelligente la sta guidando.[36] Va sottolineato che questo argomento è distinto dall'argomento del disegno divino proposto da William Paley e dai sostenitori del Disegno intelligente. Questi ultimi sostengono implicitamente che gli oggetti nel mondo non hanno disposizioni o fini intrinseci, ma, come l'orologio di Paley, non avranno naturalmente uno scopo a meno che non siano costretti a compiere qualche azione esterna.[36] La teoria del disegno intelligente si concentra anche sulla complessità e sulle parti interfunzionali come effetto che necessita di spiegazione, mentre la Quinta Via assume come punto di partenza qualsiasi regolarità.[36] Ad esempio, la prima afferma che un occhio ha una funzione complicata e quindi necessita di un disegno intelligente; l'argomento della causa finale sostiene che il fatto stesso che le cose esistono con uno scopo ci permette di arrivare ricorsivamente a Dio come la fonte ultima di qualsiasi scopo, senza essere vincolato da qualsiasi scopo esterno.
L'esistenza di uno scopo anche negli oggetti inanimato segue alla natura del divenire. Poiché infatti l'Essere è l'atto ultimo e il divenire è un passaggio dalla potenza all'atto, qualsiasi divenire naturalmente e spontaneamente tende, desidera e anela all'Essere come suo fine ultimo.[37]
Molti studiosi e commentatori mettono in guardia dal trattare le Cinque Vie come se fossero prove logiche moderne. Questo non vuol dire che esaminarle in questa luce non sia accademicamente interessante. I motivi includono:
La critica all'argomento cosmologico, e quindi alle prime tre Vie, emerse nel XVIII secolo a opera dei filosofi David Hume e Immanuel Kant.[43]
Kant ha sostenuto che le nostre menti determinano la struttura della materia prima della realtà e che il mondo è quindi diviso nel mondo fenomenico (il mondo che sperimentiamo e conosciamo) e il mondo noumenico (il mondo così com'è "in sé", la cui conoscenza è a noi inaccessibile).[44] Gli argomenti cosmologici ragionano a partire da ciò che sperimentiamo, e quindi dal mondo fenomenico, per giungere a una causa inferita, che è il mondo noumenico, che è al di là della nostra conoscenza.[45] In tale noumeno che rimane inconoscibile rientra Dio stesso. San Tommaso aveva già chiarito che l'essenza di Dio è inconoscibile e indefinibile, e che di Dio è parzialmente noto cosa non è.[46] Kant affermò anche che il concetto di essere necessario è incoerente e il relativo argomento fallace, poiché la ragione che pretende di parlare dell’incondizionato cade in contraddizione.
La legge di Hume sostenne che poiché possiamo concepire cause ed effetti come separati, non esiste una connessione necessaria tra loro e quindi non possiamo ragionare necessariamente a partire da un effetto osservato fino a una causa dedotta.[47]
Hume affermò che è sufficiente spiegare le cause singole dei singoli elementi osservati, senza la necessità di cercare una causa dell’intera realtà.[48][49]
Nel suo volume intitolato Simplicity as Evidence of Truth, il filosofo della religione del XX secolo Richard Swinburne asserì che questi argomenti sono robusti solo se raccolti insieme, mentre ciascuno di essi è debole quando è esposto individualmente.[50]
Il sacerdote e filosofo cattolico del XX secolo Frederick Copleston dedicò gran parte del suo lavoro a una moderna spiegazione ed espansione delle argomentazioni di Tommaso d'Aquino.
Più di recente, nel suo libro intitolato Aquinas: A Beginner’s Guide (Tommaso d'Aquino: una guida per principianti), l'eminente filosofo tomista Edward Feser dichiarò che Richard Dawkins, Hume, Kant e la maggior parte dei filosofi moderni non avevano per nulla una corretta comprensione dell'Aquinate e che gli argomenti sono spesso difficili da tradurre in termini moderni.[51] Feser difese gli argomenti in alcune sue pubblicazioni.[52]
Il filosofo ateo Jordan Howard Sobel offre obiezioni alle prime tre vie, presentando la criticità di affermare una serie di cause efficienti insieme a un simultaneo attualizzatore dell'esistenza.[53] Il filosofo ateo Graham Oppy espose alcune critiche agli argomenti nei suoi scambi con Edward Feser e nel suo lavoro pubblicato.[54]
Anthony Kenny ha presentato una critica alle Cinque Vie e in particolare alla prima, basandosi sulla nozione di moto della fisica moderna. James Athanasius Weisheipl e David Simon Oderberg hanno confutato quest' ultima.[55]
Il biologo Richard Dawkins nel suo libro intitolato ‘’L'illusione di Dio’’ argomenta contro le Cinque Vie. Secondo Dawkins, "[le] cinque 'prove' asserite da Tommaso d'Aquino nel tredicesimo secolo non provano nulla e sono facilmente [...] smascherate come vacuo".[56]
Nel volume Why there almost certainly is a God: Doubting Dawkins, il filosofo Keith Ward asserì che Dawkins presenta le Cinque Vie in modo fallace e che quindi avesse esposto un argomento fantoccio. Ad esempio, per la quinta via, Dawkins la colloca nella stessa posizione della sua critica all'analogia dell'orologiaio, laddove questa prova –secondo l'edizione domenicana del 1920- è riferita al governo divino corrente, continuo e ininterrotto della creazione. Ward rilevò la differenza fra questi due modi di intendere la quinta argomentazione e difese l'utilità dei cinque modi (ad esempio, in merito al quarto argomento, affermò che tutti i possibili odori devono preesistere nella mente di Dio, ma che Dio, essendo per sua natura non fisico, non può puzzare), sottolineando che essi costituiscono una prova di Dio solo se si assume prima la proposizione secondo cui l'universo può essere compreso razionalmente. Sostiene che siano utili per farci comprendere come sia Dio, una volta concesso questo presupposto iniziale.[57]
Il teologo ortodosso orientale David Bentley Hart asserì che Dawkins "dedicò diverse pagine di The God Delusion a una discussione sulle 'Cinque vie' di Tommaso d'Aquino, ma non pensò mai di avvalersi dei servizi di qualche studioso del pensiero antico e medievale che avrebbe potuto spiegarle a lui... Di conseguenza, non solo ha scambiato le Cinque Vie per l'affermazione completa di Tommaso sul perché dovremmo credere in Dio, cosa che sicuramente non sono, ma ha finito per travisare completamente la logica di ognuna di esse, e ai livelli più elementari".[58] Hart ha detto del trattamento di Dawkins delle argomentazioni di Tommaso d'Aquino che:
«Not knowing the scholastic distinction between primary and secondary causality, for instance, [Dawkins] imagined that Thomas's talk of a "first cause" referred to the initial temporal causal agency in a continuous temporal series of discrete causes. He thought that Thomas's logic requires the universe to have had a temporal beginning, which Thomas explicitly and repeatedly made clear is not the case. He anachronistically mistook Thomas's argument from universal natural teleology for an argument from apparent "Intelligent Design" in nature. He thought Thomas's proof from universal "motion" concerned only physical movement in space, "local motion," rather than the ontological movement from potency to act. He mistook Thomas's argument from degrees of transcendental perfection for an argument from degrees of quantitative magnitude, which by definition have no perfect sum. (Admittedly, those last two are a bit difficult for modern persons, but he might have asked all the same.)»
«Non conoscendo la distinzione scolastica tra causalità primaria e secondaria, per esempio, [Dawkins] immaginava che il discorso di Tommaso su una "causa prima" si riferisse all'azione causale temporale iniziale in una serie temporale continua di cause discrete. Pensava che la logica di Tommaso richiedesse che l'universo abbia avuto un inizio temporale, cosa che Tommaso aveva esplicitamente e ripetutamente chiarito non essere vera. Ha anacronisticamente scambiato l'argomento di Tommaso dedotto dalla teleologia naturale universale con un argomento riferibile ad un “disegno intelligente”". Pensava che la prova di Tommaso inerente al "movimento" universale riguardasse solo il movimento fisico nello spazio, il "movimento locale", piuttosto che il movimento ontologico dalla potenza all'atto. Ha confuso l'argomento di Tommaso dei gradi di perfezione trascendentale con un argomento dei gradi di grandezza quantitativa, che per definizione non hanno una somma perfetta. (Certo, quegli ultimi due sono un po' difficili per le persone moderne; cionondimeno, egli poteva chiedere a qualcuno..)"»
San Tommaso fornì anche l'argomento morale e l'argomento dell'esperienza religiosa.
Secondo l'argomento morale, l'esistenza di una legge morale naturale, universale ed oggettiva, valida per tutti gli uomini, è la prova dell'esistenza di un Dio Creatore intelligente. Infatti, data la sua somma bontà, secondo questo tipo di argomenti, risulta impossibile che l'umanità intera si inganni circa un principio supremo[59] quale è la legge morale naturale.
Secondo l'argomento dell'esperienza religiosa, l'esperienza diretta e personale di Dio, come ebbe san Tommaso, è una prova della Sua esistenza.
Si ricorda anche l'argomento ideologico (o delle idee) che rileva che nella mente umana esistono idee necessarie, eterne e immutabili, a partire dall'idea di Dio (che è anche infinita), le leggi della matematica o norme etiche. Poiché infinito, eterno, necessario e immutabile non sono né il corpo né l'anima umani né la realtà circostante, esse provengono da Dio. L'argomento fu sviluppato da sant'Agostino e ripreso da Cartesio.[60]
Da ultimo, sempre secondo Tommaso, esiste una via antropologica per provare l'esistenza di Dio: l'immortalità dell'anima. Egli infatti scrive:
«[L'anima] non può essere prodotta che per creazione. Ora, solo Dio può creare.»
Secondo Aristotele, l'anima è composta di una parte vegetativa, di una sensitiva e di una razionale. Solo le creature umane possiedono la parte razionale, mentre quella vegetativa e sensitiva sono comuni alle creature umane e a quelle animali. Nella sua filosofia, l'immortalità riguarda l'anima tutta intera, compresa anche la parte vegetativa e sensitiva: l'immortalità dell'anima razionale comporta anche quella dei due livelli inferiori, vale a dire il livello vegetativo e quello sensitivo che, senza il corpo, non potrebbero nemmeno esistere. Dunque, l'immortalità dell'anima vegetativa-sensitiva-razionale umana comporta anche la resurrezione della carne.
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