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basilica di Bologna Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La basilica di San Giacomo Maggiore (baséllica ed San Iâcum Mazåur in bolognese) è un luogo di culto cattolico della città di Bologna. Fu fondata nel 1267 come chiesa dell'ordine degli Agostiniani. Al suo interno si trova la cappella Bentivoglio, splendida architettura di metà Quattrocento, ricca di opere d'arte rinascimentali.
Basilica di San Giacomo Maggiore | |
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La facciata | |
Stato | Italia |
Regione | Emilia-Romagna |
Località | Bologna |
Indirizzo | piazza Rossini 2 ‒ Bologna (BO) |
Coordinate | 44°29′44.08″N 11°20′57.46″E |
Religione | cattolica di rito romano |
Titolare | Giacomo il Maggiore |
Arcidiocesi | Bologna |
Consacrazione | 1344 |
Stile architettonico | Romanico Gotico Rinascimentale |
Inizio costruzione | 1267 |
Completamento | 1315 |
Già dal 1247 la comunità di eremiti del beato Giovanni Bono da Mantova, detti Giamboniti, si era stabilita a ridosso delle mura di Bologna lungo il corso di allora del Savena, dove fondarono il loro monastero e la chiesa dedicata a San Giacomo. Gli eremiti di San Giacomo di Savena vennero a far parte del nuovo grande organismo detto "Ordine Eremitano di Sant'Agostino", voluto nel 1256 da papa Alessandro IV, il cui primo generale fu Lanfranco Settala da Milano, giambonita proveniente dalla comunità bolognese.
Gli eremiti del Savena cercarono presto un luogo più adatto nell'interno della città che agevolasse la loro opera di apostolato ed evitasse i disagi di un luogo rivelatosi malsano: così il 25 aprile 1267 fu posta la prima pietra della nuova fabbrica sulla strada San Donato, in un luogo adiacente alla chiesetta parrocchiale di Santa Cecilia. I lavori proseguirono lentamente: col tempo i frati riuscirono ad acquistare tutta l'area e a portare avanti l'edificio, grazie alle elargizioni di fedeli e alla riscossione delle gabelle concessa dal Comune. L'edificio fu terminato nel 1315, ma la sua consacrazione avvenne nel 1344, dopo la costruzione della parte absidale (1331-1343). La chiesa era a navata unica coperta con tetto spiovente con capriate a vista (forse a carena) e terminava con una cappella di testata ad abside poligonale, fiancheggiata da due cappelle quadrate, tutte e tre coperte a volta. Di impostazione romanica, ispirata alla semplicità e alla povertà degli Ordini mendicanti, la chiesa dimostrava una concezione dello spazio già di ispirazione gotica (slancio verticale, finestre ogivali, arche funerarie).
Nel Quattrocento i Bentivoglio la presero sotto particolare protezione e vi realizzarono la loro cappella gentilizia (1463-1468) e il lungo portico sulla strada di San Donato (1477-1481). Nel 1471 fu sopraelevato il campanile e tra il 1483 e il 1498 l'interno venne stravolto, realizzando, in luogo delle capriate lignee medievali, una nuova copertura con tre volte a vela e una cupola. Si vennero così a creare anche gli spazi per le nuove cappelle sulle pareti laterali che si arricchirono di altari rinascimentali e barocchi con profusione di dipinti.
Con l'avvento napoleonico e la soppressione degli Ordini religiosi, gli Agostiniani furono allontanati; rientrarono nel 1824, ma parte del loro convento era divenuto, fin dal 1804, sede del Conservatorio Musicale. Gli Agostiniani abbandonarono definitivamente il convento di San Giacomo dopo il 1860 con le cosiddette leggi eversive del nuovo Regno d'Italia, rimanendo come custodi della chiesa.
Il convento agostiniano assunse un importante ruolo culturale e fu uno dei più insigni Studi Generali dell'Ordine. Tra i personaggi insigni di questo convento vanno ricordati: Ugolino Malebranche da Orvieto, Giacomo da Viterbo, il cardinale Seripando, Cherubino Ghirardacci, Luigi Torelli O.S.A., Jacopo della Lana, Simone da Todi, Matteo da Rimini, Stefano Bellesini, Domenico Agresti.
È la parte più antica di San Giacomo, a due spioventi, con slanciate proporzioni tardo-romaniche. Gli ornati in pietra d'Istria sulle finestre ogivali, di gusto veneziano, furono eseguiti da maestri lombardi nel 1295[1]. Forse ai primi del Trecento furono aggiunte in facciata le quattro celle sepolcrali archiacute, di poco successive a quelle sotto il portico, e il protiro originale fu modificato riadattando i leoni stilofori che originariamente erano rivolti verso l'esterno. Sulla destra, l'entrata dell'antico convento, ora Conservatorio "G. B. Martini", e la tomba cinquecentesca di Annibale Coltelli.
Il portico, comunemente attribuito a Tommaso Filippi, ha 36 colonne con capitelli corinzi; la trabeazione reca un bel fregio con figurazione costante. Sotto si presenta la serie delle arche sepolcrali duecentesche a sesto acuto, alcune delle quali conservavano affreschi (ora staccati e depositati in chiesa).
Un portichetto del Quattrocento e un altro del Cinquecento si possono vedere dall'ingresso laterale sotto il portico (via Zamboni 15; accesso anche alla chiesetta di Santa Cecilia). Nel portichetto notare la ghiera in terracotta dell'occhio della cappella centrale, dove è inciso in bellissimi caratteri gotici il testo latino dell'Ave Maria.
Il complesso di S. Giacomo è racchiuso dal lato di Piazza Verdi dagli unici avanzi delle mura merlate del Mille. A queste si addossa il campaniletto e la chiesetta di S. Cecilia e, sulla destra, la testata del portico bentivolesco; a sinistra, si erge il campanile[2]. Sopra la tribuna si intravede anche la testata a capanna dell'antica fabbrica, con l'incorniciatura ad archetti trilobati che corona tutto il perimetro della chiesa. Più in alto la cupola rinascimentale nel rifacimento sommario di Antonio Morandi detto il Terribilia.
Campanile e Campane
Sopra alla parte absidale si erge il bel campanile, che raggiunge la considerevole altezza di 52 metri risultando uno dei più alti di Bologna.
Le scale di salita sono in legno, a rampe piuttosto ripide.
Nella cella campanaria è alloggiato un bel concerto di 5 campane, così caratterizzato:
1^ Campana (Grossa) Nota: Mi3; diametro: cm 115,5; fonditore: Anchise Censori; anno: 1565; peso: circa kg 1100
2^ Campana (Mezzana) Nota: Sol3; diametro: cm 100,7; fonditore: Gaetano Brighenti; anno: 1842; peso: kg 651
3^ Campana (Mezzanella) Nota: La3; diametro: cm 89,7; fonditore: Gaetano Brighenti; anno: 1842; peso: kg 454
4^ Campana (Piccola) Nota: Si3; diametro: cm 80; fonditore: Gaetano Brighenti; anno: 1842; peso: kg 320
5^ Campana (Piccola del Maggiore) Nota: Re4; diametro: cm 65,7; fonditore: Gaetano Brighenti; anno: 1844; peso: kg 189
In cella campanaria è poi presente un'ulteriore piccola campana, fuori concerto, probabilmente usata in passato come richiamo per i campanari.
Il concerto dà la possibilità di comporre due "quarti" distinti: uno in "tono minore" se si utilizzano le quattro campane più grosse e uno in "tono maggiore" se si utilizzano le quattro campane più piccole.
In particolare, il "quarto minore" è considerato uno dei più bei "doppi" di tutta Bologna, caratterizzato dalla voce piena, armoniosa e robusta delle tre piccole a cui si contrappone il botto ruvido ma allo stesso tempo dolce della grossa. La piccola del maggiore, aggiunta due anni dopo le altre, pur abbastanza intonata, ha poca sonorità.
Le campane sono montate sui tradizionali ceppi in legno tipici del sistema di suono "alla bolognese", che consentono di suonarle in questo modo. Le quattro maggiori si trovano l'una allineata all'altra, su di un bel "castello" in legno del tipo "a capriate"; la piccola del maggiore si trova invece nella parte superiore della cella, su di un apposito telaio sempre in legno.
Fino al 2000 3^ e 4^ campana (le due piccole del "quarto minore") erano dotate di un impianto di elettrificazione a catene per il suono a distesa per l'annuncio delle funzioni; in seguito tale impianto è stato dismesso (con rimozione delle relative ruote dai ceppi) e sostituito da un nuovo impianto ad altoparlanti che diffonde il suono delle stesse campane di San Giacomo, di cui è stato effettuato un accurato campionamento di tutti i suoni tradizionali eseguiti dai campanari ("doppi", "tirabasse", "squinquini", "scampanio" ecc.) assieme ad altri segnali ("Angelus", "Ave Maria", segni funebri, richiami per funzioni ecc.) che vengono sapientemente abbinati alle varie occasioni liturgiche e necessità della basilica.
Il castello è funzionale alla pratica di tutte le varie forme di suono della tecnica "alla bolognese", dal doppio "a cappio" a quello "a trave", allo "scampanio" a campane ferme. La mole dei bronzi e la pronunciata oscillazione della torre richiedono tuttavia una squadra di campanari nutrita, affiatata ed esperta. Appuntamento annuale per i campanari su questa torre è la festa di Santa Rita (22 maggio), a solennizzare questa ricorrenza particolarmente significativa per i Padri Agostiniani e per i bolognesi che vengono qui in gran numero a ricevere le tradizionali rose benedette.
È arioso e imponente nel suo assetto rinascimentale, con sovrastrutture barocche. Le grandi volte a vela recano gli affreschi con i Santi Nicola da Tolentino, Agostino e Giacomo Maggiore, eseguiti nel 1495 dalla bottega del Francia e del Costa.
L'elegante portale per cui si accede alla gotica sacrestia fa da base al Monumento Fava, (fine Cinquecento). La gotica sacrestia (opera di Azzo di Domenico del 1385) conserva pregevoli armadi di varie epoche.
Madonna in trono con Bambino, Santa Caterina d'Alessandria, San Cosma, San Damiano e il committente Scipione Calcina. PALA D'ALTARE, 1589. Lavinia Fontana (1552-1614), pittura a olio, 320 cm x 200 cm. Come documenta una lapide murata nella cappella di famiglia, la pala fu eseguita nel 1589 per Scipione Calcina. Questi era un uomo d'affari appartenenete ad una famiglia tradizionalmente di medici; già nel 1408 un Calcina aveva fatto erigere una cappella in San Giacomo, dedicandola ai Santi Cosma e Damiano. [3]
Nella basilica si trovano due organi a canne:[4]
Dall'ingresso laterale del Convento agostiniano di San Giacomo si accede all'Oratorio di Santa Cecilia. Le origini di questa costruzione risalgono a prima del 1267, quando gli agostiniani comprarono il terreno su cui oggi sorge San Giacomo. Oggi l'Oratorio è uno dei luoghi più straordinari del Rinascimento bolognese. Al suo interno si trova un ciclo di dieci affreschi iniziato nel 1506 sulla vita di Santa Cecilia che sono opera di Francesco Francia, Lorenzo Costa e Amico Aspertini.[5]
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