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scrittore svizzero Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Charles-Ferdinand Ramuz (Losanna, 24 settembre 1878 – Pully, 23 maggio 1947) è stato uno scrittore e poeta svizzero.
Nato il 24 settembre 1878, Ramuz compie tutti i suoi studi nel Canton Vaud. Ottiene il diploma di maturità nel 1895 e inizia una licenza in lettere classiche, che ottiene nel 1901. Si reca poi a Parigi per redigere, alla Sorbona, una tesi di dottorato su Maurice de Guérin, che abbandona abbastanza rapidamente per consacrarsi alla scrittura.
Durante più di dieci anni Ramuz si dividerà tra la Svizzera romanda e Parigi, dove frequenta il salotto di Édouard Rod. È attraverso questi che riuscirà a pubblicare il suo primo romanzo, Aline (1905), a Parigi, presso le edizioni Perrin. Precedentemente aveva pubblicato a sue spese presso Eggimann, a Ginevra, una raccolta di poesie intitolata Le Petit Village (1903, "Piccolo villaggio").
Durante i suoi anni parigini, Ramuz pubblicò non meno di cinque romanzi, presso diversi editori della capitale (Perrin, Fayard, Ollendorff). Poco dopo la nascita di sua figlia, e qualche settimana appena prima dell'inizio della prima guerra mondiale, decide di tornare in Svizzera, dove resterà fino alla morte. Parigi offre l'occasione a Ramuz di frequentare numerosi scrittori e artisti, svizzeri e francesi: per qualche tempo condivide un appartamento con Charles-Albert Cingria, incontra il pittore René Auberjonois che diventerà suo amico; ritrova Henry Spiess e Adrien Bovy, e conosce i fratelli Tharaud e André Gide.
Dopo il suo ritorno in Svizzera, diventerà una delle firme più importanti dei Cahiers vaudois, appena fondati a Losanna dai suoi amici Edmond Gilliard e Paul Budry sul modello dei Cahiers de la quinzaines di Charles Péguy. Nel 1915 conosce il compositore Igor' Stravinskij di cui diverrà amico e con cui collaborerà più volte. Per il musicista nel 1915 tradurrà dal russo il testo di Renard, la stessa cosa farà qualche anno dopo per Les noces. Ramuz è tra i firmatari del manifesto Raison d'être (1914, "Ragion d'essere"), e vi pubblica numerosi volumi, tra i quali Adieu à beaucoup de personnages et autres morceaux (1914), Les Signes parmi nous (1919) e il libretto dell'Histoire du soldat (1918) per il quale Stravinskij aveva composto la musica e che era stato messo in scena a Losanna, sempre nel 1918. Il contesto dell'immediato dopoguerra e i problemi economici daranno il colpo di grazia ai Cahiers vaudois, e Ramuz si ritrova senza struttura editoriale.
Dopo un periodo difficile, tanto finanziariamente quanto sul piano artistico, durante il quale Ramuz "fabbricò" i suoi libri in prima persona. Nel 1924 firma un contratto con le edizioni Grasset. Pubblica così la maggior parte dei suoi romanzi in due tempi: dapprima a Losanna, presso Mermod, editore e mecenate, poi a Parigi, presso Grasset. I suoi libri non sono propriamente un successo di vendite, ma gli valgono il riconoscimento di molti altri scrittori.
Il suo stile, tuttavia, solleva le polemiche. Non esita a malmenare la sintassi allo scopo di trovare una lingua espressiva, che oppone alla lingua morta dei grammatici. Gli si rimprovererà di "scrivere male" e di farlo apposta. Partigiani e detrattori di Ramuz si esprimono nella raccolta collettiva diretta da Henry Poulaille e intitolata, significativamente, Pour ou contre C. F. Ramuz (1926, "Per o contro C. F. Ramuz"). In seguito sarà lo scrittore stesso a reagire, con la sua famosa Lettre à Bernard Grasset pubblicata nel 1929.
Corteggiato da Jean Paulhan, che vorrebbe vederlo pubblicato presso Gallimard, Ramuz resta fedele a Grasset, pur consegnando qualche testo a La Nouvelle Revue française. La Seconda guerra mondiale lo taglierà ancor più da Parigi, e alla fine del conflitto lo scrittore, malato, non riuscirà più a tornare al centro dell'attenzione letteraria, orientata piuttosto verso la nuova generazione di scrittori usciti dalla Resistenza.
All'inizio della carriera Ramuz fu vicino al movimento regionalista, che fiorì tanto in Francia quanto in Svizzera romanda. Ramuz se ne distanzierà nel 1914, con la pubblicazione di Raison d'être. Continua, certo, a trovare i suoi soggetti in un mondo contadino sotto molti aspetti arcaico, e resta fedele a una delle sue più intime convinzioni: è possibile toccare l'universale attraverso il particolare. Sviluppa una lingua espressiva alquanto innovativa, accolta favorevolmente in particolare da Paul Claudel e Louis-Ferdinand Céline. Il 1914 segna d'altra parte la fine dei romanzi che ruotano attorno a un solo personaggio: da allora in poi Ramuz li organizzò piuttosto attorno a una comunità. La sua opera, attraversata dal desiderio costante di toccare il generale attraverso la descrizione del particolare, essenzialmente tragica, rimette in questione i generi. Ramuz, in particolare, interroga il quadro tradizionale del romanzo, avvicinandolo alla poesie. Partecipa alla rinascita del saggio nel periodo tra le due guerre, ma scrive anche racconti e pezzi lirici o metapoetici.
La sua opera conta 22 romanzi, tra i quali La Grande Peur dans la montagne (1925/1926), La Beauté sur la terre (1927) e Derborence (1934), molte raccolte di prose brevi (in particolare Adieu à beaucoup de personnages et autres morceaux (1914), Salutation paysanne et autres morceaux (1921) e Nouvelles (1946)), saggi (vanno ricordati soprattutto, accanto ai manifesti di estetica quali Raison d'être (1914) e la Lettre à Bernard Grasset (1929), i suoi tre saggi politici: Taille de l'homme (1932), Question (1935) e Besoin de grandeur (1937)), poesia, testi autobiografici (Paris, notes d'un vaudois (1937) e Découverte du monde (1939)), un diario e il libretto de l'Histoire du soldat (1918). Nel 2005 La Pléiade ha pubblicato i romanzi di Ramuz in due volumi. Lo stesso anno le edizioni Slatkine di Ginevra lanciano la pubblicazione critica delle opere complete, che conteranno una trentina di volumi.
Nella Lettre à Bernard Grasset del 1929, Ramuz precisa il suo rapporto con la Svizzera romanda: «Il mio paese ha sempre parlato francese, e, se si vuole, è semplicemente il "suo” francese: ma ha tutto il diritto di parlarlo (...) perché è la sua lingua madre, che non ha bisogno di imparare, ricavata da una carne viva, quella di tutti coloro che vi nascono, ogni ora, ogni giorno (...). Nel contempo, poiché una frontiera politica lo separa dalla Francia, si è trovato in una posizione estranea rispetto a un certo francese comune che vi si è costituito nel corso degli anni. Il mio paese ha così due lingue: una è costretto a impararla, l'altra la utilizza per diritto di nascita; ha continuato a parlare la sua lingua pur sforzandosi di scrivere quella che si chiama, da noi, a scuola, il “buon francese”, e ciò che è, in effetti, il buon francese, ma che è anche una sorta di mercanzia di cui viene gestito un monopolio».
Ramuz respinge l'idea che il suo paese sia una sorta di provincia della Francia e afferma il senso della sua opera in francese: «Mi ricordo l'inquietudine che mi colse quando vidi che quel famoso “buon francese”, che era la nostra lingua scritta, era incapace di esprimerci e di esprimermi. Vedevo ovunque, attorno a me, poiché era per noi una lingua appresa (e, in definitiva, una lingua morta), una sorta di interruzione che faceva impressione: invece di trasmettere il pensiero fedelmente fino alla sua forma esterna, lo perdeva strada facendo, come per mancanza di corrente, finendo per negare sé stessa (...). Mi ricordo che mi ero detto, timidamente: forse potremmo provare a smettere di tradurre. L'uomo che si esprime veramente non traduce. Lascia che il movimento si produca in lui dall'inizio alla fine, libero di scegliere le parole a modo suo. L'uomo che parla non ha il tempo di tradurre (...). Avevamo due lingue: una passava per quella “buona”, ma ce ne servivamo male perché non era la nostra, l'altra, che per modo di dire era zeppa di errori, ma di cui ci servivamo bene perché era nostra. Ordunque: le emozioni che provo, le devo alle cose di qui (...). Se avessi scritto quella lingua parlata, avrei scritto la nostra lingua».
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