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trattato internazionale Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie[1][2] (in lingua inglese: European Charter for Regional or Minority Languages, ECRML) è un trattato internazionale concluso a Strasburgo il 5 novembre 1992 nell'ambito del Consiglio d'Europa (STE 148).
La Carta intende, da un lato, tutelare e promuovere le lingue regionali o minoritarie come parti del patrimonio culturale europeo in pericolo d'estinzione e, dall'altro, promuovere l'uso di queste lingue nella vita pubblica e privata. Il suo scopo è essenzialmente culturale. Contiene molte norme di tutela linguistica.
Essa nasce dalla constatazione che in varie parti d'Europa vivono popolazioni autoctone che parlano una lingua diversa da quella della maggioranza della popolazione dello Stato di appartenenza.
La Carta non comprende le lingue parlate dalle comunità di immigrati.
Le lingue di cui al presente accordo sono le lingue tradizionalmente usate da una parte (generalmente minoritaria) dei cittadini di uno Stato europeo.
All'articolo 1 - Definizioni,[3] la Carta stabilisce che:
«a) per «lingue regionali o minoritarie» si intendono le lingue:
i) usate tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini di detto Stato che formano un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato; e
ii) diverse dalla(e) lingua(e) ufficiale(i) di detto Stato; questa espressione non include né i dialetti della(e) lingua(e) ufficiale(i) dello Stato né le lingue dei migranti;
b) per «territorio in cui è usata una lingua regionale o minoritaria» si intende l'area geografica nella quale tale lingua è l’espressione di un numero di persone tale da giustificare l'adozione di differenti misure di protezione e di promozione previste dalla presente Carta;
c) per «lingue non territoriali» si intendono le lingue usate da alcuni cittadini dello Stato che differiscono dalla(e) lingua(e) usata(e) dal resto della popolazione di detto Stato ma che, sebbene siano usate tradizionalmente sul territorio dello Stato, non possono essere ricollegate a un'area geografica particolare di quest'ultimo.»
La "Carta" usa l'espressione "lingue regionali o minoritarie" senza distinguere tra "lingue regionali" e "lingue minoritarie", e anche la definizione all'art. 1) fa riferimento all'intera espressione prima citata. In nessuna parte del trattato la "lingua regionale" e/o la "lingua minoritaria" sono normate separatamente, né vengono distinte sul piano concettuale fornendo due diverse definizioni delle stesse.
All'articolo 1) la Carta si limita a poche indicazioni per definire il quadro entro il quale poi gli Stati firmatari sceglieranno le lingue tutelate dalla "Carta": al punto "a" - ii) è precisato che sono escluse le "lingue ufficiali" dello Stato, i "dialetti" delle lingue ufficiali (ma non specifica cosa costituisca un dialetto), e le lingue dei migranti (in quanto non usate "tradizionalmente sul territorio dello Stato"). La "Carta" all'art. 1 punto c), prevede inoltre anche la tutela delle comunità linguistiche parlanti una "lingua non territoriale" (es.: lingua romanì, lingua yiddish): tutela non prevista dalla Legge italiana 482/99 (tutela minoranze linguistiche).
La Carta non riporta uno specifico elenco di lingue in quanto ai sensi dell'art. 3 punto 1) tale elenco va comunicato da ogni Stato firmatario all'atto della ratifica della Carta stessa. Alcuni paesi, aderendo alla carta, hanno specificato l'elenco delle lingue applicabili[6]. Tra gli altri:
Ai sensi della Carta, l'italiano è riconosciuto lingua minoritaria in Svizzera, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Romania[7].
Gli Stati che hanno firmato e ratificato la Carta si impegnano a:
La Carta fornisce un elenco di azioni che gli Stati firmatari possono adottare per proteggere e promuovere le lingue storiche regionali e delle minoranze, come ad esempio l'uso di segnaletica bilingue [8] o l'apertura di scuole specializzate nell'insegnamento della lingua protetta. Gli Stati dovrebbero mettere in atto almeno 35 di queste azioni.
Tutti i paesi europei, senza eccezione, possono firmare la Carta, anche se non hanno una lingua regionale o minoritaria (come il caso del Lussemburgo per esempio). Gli Stati membri possono scegliere di riconoscere la lingua che vogliono ma devono operare in conformità delle regole stabilite dalla Carta. Inoltre, gli Stati possono sempre aggiungere altre lingue dopo quelle già proposte all'atto della ratifica.
La carta è entrata in vigore quando è stata ratificata da almeno cinque stati, cioè il 1º marzo 1998.
Al 28 giugno 2009 la Carta è stata firmata da 33 stati europei, tra cui la Svizzera (nel 1993) e l'Italia (nel 2000).[9] Di questi, 24 stati l'hanno anche ratificata.
La Francia ha firmato la convenzione il 7 maggio del 1999, provvedendo a fornire una lista delle lingue regionali[10] riconoscendole come patrimonio nazionale[11]. Un primo elenco delle lingue parlate in Francia era stato redatto da Bernard Cerquiglini, allora vicepresidente del Conseil supérieur de la langue française, per un totale di settantacinque idiomi territoriali e non; il Consiglio Costituzionale ritenne però contrario alla Carta Fondamentale il contenuto della Convenzione, che non ha ricevuto ratifica. Infatti, sul piano politico la posizione ufficiale della Francia è che nel territorio nazionale non esistano minoranze linguistiche, bensì "dialetti" (patois)[12] nell'accezione, ampiamente diffusa anche in Italia, di vari linguaggi contrapposti alla lingua nazionale. Purtuttavia, l'organismo governativo deputato un tempo alla tutela della sola lingua francese ha preso in considerazione anche le lingue regionali, cambiando nome in Délégation générale à la langue française et aux langues de France ("Delegazione Generale per la lingua francese e le lingue della Francia"); inoltre, le lingue regionali hanno progressivamente goduto di una qual certa promozione, essendo previsto anche il loro insegnamento opzionale nella scuola pubblica, come in Corsica e Bretagna.
Seguendo l'esempio francese, l'Italia ha ugualmente firmato la carta il 27 giugno del 2000, senza mai ratificarla. Nel 2012, il Consiglio dei ministri aveva approvato un disegno di legge di ratifica, ma il Parlamento decise di non pronunciarsi in materia[13][14]. In attuazione dell'art. 6 della Costituzione italiana, a seguito di un processo di approvazione assai travagliato fu infine approvata dal Parlamento la legge 482/1999, che prevede norme di tutela a favore di dodici gruppi[15].
I paesi nei quali la carta è in vigore nel 2009 sono: Armenia, Austria, Cipro, Croazia, Danimarca, Finlandia, Germania, Liechtenstein, Lussemburgo, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia (dal 1º giugno 2009), Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Ucraina e Ungheria.
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