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Arte dell'Olocausto

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Arte dell'Olocausto
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L'arte dell'Olocausto è stata il prodotto dei tanti artisti che furono coinvolti nelle persecuzioni politiche e razziali messe in atto dalla Germania nazista e dai suoi alleati, tra il 1933 e il 1945. Anche nei ghetti, nei campi di concentramento, negli accampamenti dei partigiani e nei campi dei rifugiati, l'arte fu un modo per esprimere i contrastanti sentimenti di dolore e sgomento, rivolta e speranza delle vittime. Dopo la fine della seconda guerra mondiale essa è diventata, nei tanti monumenti, uno strumento della memoria per i superstiti dell'Olocausto e per le generazioni successive.

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Das Lied ist aus (La musica è finita) (1944) di Pavel Fantl
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Autoritratto (1943) di Felix Nussbaum
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Introduzione

Riepilogo
Prospettiva

Numerosi artisti furono coinvolti nell'Olocausto perché ebrei o in conseguenze delle loro idee politiche.[1] L'arte stessa divenne terreno di scontro, facendosi il nazismo promotore di un proprio stile distintivo che bollava come "arte degenerata" l'espressionismo, l'astrattismo e ogni tendenza artistica anti-conformista.[2] Gli artisti perseguitati reagirono usando la loro arte come una forma di resistenza spirituale e uno strumento di denuncia dell'oppressione.

La crocifissione bianca (1938) di Marc Chagall è il primo manifesto visivo di denuncia delle persecuzioni razziali antisemitiche, che nel dipinto acquistano valore universale ed "ecumenico" attraverso la loro associazione alla passione subita dal Gesù ebreo. Chagall, Arthur Szyk e Thomas Hart Benton furono tra coloro che negli Stati Uniti poterono liberamente mostrare le proprie opere. Per gli artisti trovatisi a vivere sotto l'occupazione nazista (come Felix Nussbaum, Charlotte Salomon e Carol Deutsch), la produzione artistica si svolge nella clandestinità, nell'ansia continua dell'arresto e della deportazione; la loro arte si preserva solo grazie alla complicità di amici ed estimatori.

Anche nei ghetti e nei campi di internamento, l'arte continua tenacemente a esistere:[3] a Lodz con Josef Kowner, a Kovno con Esther Lurie e Jacob Lipschitz e soprattutto a Terezin con Bedřich Fritta, Leo Haas, Karel Fleischmann, Otto Ungar, Felix Bloch, Pavel Fantl, e molti altri. Sempre a Terezin Friedl Dicker-Brandeis dirige per i bambini prigionieri nel ghetto un programma d'arte, del quale analizza con lucidità il valore educativo e terapeutico.[4] In Vilnius Alexander Bogen continua la propria attività artistica come comandante di una unità partigiana nella foresta. Coscienti dell'importanza della loro testimonianza per le generazioni future, gli artisti si preoccuperanno di lasciare le loro opere in nascondigli di fortuna, quando anche per loro giunga il momento della deportazione finale nei campi di sterminio o di lavoro coatto.

Dopo la liberazione furono molti coloro che diedero forma visiva alle loro memorie attraverso disegni e dipinti. L'arte ebbe per loro valore terapeutico, servendo al tempo stesso come testimonianza di accusa presso l'opinione pubblica e finanche nei processi. Tra i superstiti dell'Olocausto ci sono artisti già affermati come David Olère, Fernand Van Horen, Henri Pieck, Aldo Carpi, Zoran Mušič, Richard Grune e Alfred Kantor, e adolescenti di talento come Thomas Geve e Michal Kraus. L'ebreo russo Zinovii Tolkatchev fu tra i primi ad entrare come ufficiale dell'Armata Rossa nei campi di Majdanek e Auschwitz; la sua opera offre un'inedita prospettiva dalla parte dei liberatori. La memoria personale continuerà a segnare per decenni l'esperienza artistica di molti superstiti dell'Olocausto, come Jacob Vassover, Shimon Balicki, Yehuda Bacon, Alice Lok Cahana, Samuel Bak, Frank Meisler, e altri.

Con l'inaugurazione nel 1948 a Varsavia del monumento agli eroi del ghetto comincia la stagione dei grandi monumenti commemorativi, in se stessi concepiti come opere d'arte o impreziositi dalla presenze di opere di artisti famosi.[5] I memoriali dell'Europa sovietica, costruiti secondo l'estetica del realismo socialista, si caratterizzano generalmente per la loro grandiosità e patriottismo e per l'essere dedicati collettivamente agli "eroi della Resistenza" e "vittime del fascismo", senza alcuna particolare specificazione etnica o religiosa. Solo in alcune opere traspare un'attenzione umana alle sofferenze individuali delle vittime, come nel gruppo "The Unbowed Man" in Bielorussia.

Dopo la caduta del muro di Berlino, nuovi imponenti memoriali sono eretti nei luoghi dell'Olocausto.[3] Abbandonata la retorica sovietica che vedeva in ogni uomo e donna dell'Olocausto prima di tutto un combattente della grande Guerra Patriottica, la memoria rimarca ora più specificamente l'identità dei diversi gruppi coinvolti nell'Olocausto (ebrei, rom, prigionieri di guerra, dissidenti politici, disabili, omosessuali, ecc.). A prevalere sono i sentimenti del dolore, dell'abbandono che si esprimono nella descrizione di vittime innocenti, sorprese nella loro quotidianità di vita o evocate attraverso gli oggetti quotidiani da loro lasciati: un tavolo vuoto a Berlino, i vestiti appesi a Sofron, le sedie vuote nella piazze del ghetto di Cracovia, le scarpe abbandonate lungo la riva del Danubio a Budapest... Si ricordano con sempre maggiore frequenza anche coloro i quali hanno opposto resistenza all'Olocausto: ebrei come Janusz Korczak e Nicholas Winton, e "giusti tra le nazioni" come Raoul Wallenberg e Jan Karski.

Si formano nel frattempo le prime collezioni, pubbliche e private, dedicate all'arte dell'Olocausto. Al museo ebraico di Praga sono raccolti fin dal 1945 gli oltre 4.000 disegni dei bambini di Terezín, mentre dal 1953 numerose donazioni arricchiscono la Collezione d'arte dell'Istituto Yad Vashem a Gerusalemme. Si pubblicano le prime monografie sull'arte dell'Olocausto. Nel 2005 è inaugurato il Museo d'Arte di Yad Vashem che con oltre 10.000 opere è la più importante esposizione permanente di arte dell'Olocausto.[6] Con il crescere dell'interesse nell'opinione pubblica, si moltiplicano anche le mostre. Una delle prime in Italia è quella organizzata dal 25 gennaio al 1º febbraio 2009 presso il Circolo La Speranza (ANPI) a Cassina de' Pecchi e intitolata: “Artisti dell'Olocausto. La collezione di Roberto Malini”.[7] Nel 2016 la mostra "The Art of the Holocaust" presenta al Deutsches Historische Museum di Berlino oltre 100 opere prodotte tra il 1939 e il 1945 e viene inaugurata alla presenza del Cancelliere tedesco Angela Merkel.[8]

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Opere d'arte e artisti (elenco parziale)

1930-1939

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1940-1949

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1950-1959

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1960-1969

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1970-1979

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1980-1989

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1990-1999

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2000-2009

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2010-2019

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