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- La musica tradizionale sarda sia cantata che strumentale è una delle più ricche ed antiche del Mediterraneo. La forma canora più originale è il canto a tenore (chiamato in sardo su concordu, su tenore, su contratu, su cussertu o s'agorropamentu), un canto corale a quattro voci maschili, tipico dell'area barbaricina [1]. La voce solista chiamata boghe sviluppa il motivo musicale e le frasi del solista sono intercalate da un modulo di grande ritmicità intonato dagli altri tre. Il canto accompagna balli, serenate, preghiere ed è una tradizione molto radicata nel nuorese. Tale forma di canto è ritenuto un'espressione artistica di pura matrice sarda, esente da condizionamenti o influssi esterni, pura espressione dell'immaginario agro-pastorale, substrato sociale che simboleggia l'Isola sotto ogni punto di vista e sul quale il popolo sardo ha radicato le proprie origini e identità. Nel 2005 è stato riconosciuto dall'Unesco come Patrimonio orale e immateriale dell'Umanità [2].
La tipica danza de su ballu tundu, secondo l'etnologo Francesco Alziator, possiede delle caratteristiche che fanno pensare ad una origine molto antica, non solo perchè accompagnato dalle launeddas, ma soprattutto per l'associazione tra la danza ed il fuoco: al centro del cerchio formato dai danzatori infatti anticamente era acceso un fuoco. Secondo lo storico dell'arte Carlo Aru, una rappresentazione del tipico ballu tundu sarebbe raffigurata in un dipinto risalente al 1291 e custodito nella chiesa medioevale di San Pietro a Zuri. Questa danza veniva accompagnato dal suono delle launeddas, un antico strumento formato essenzialmente da tre canne palustri e suonato con la tecnica del fiato continuo. Su questo strumento sono stati fatti diversi studi negli anni 1957-58 e 1962 dal musicologo danese Andreas F. Weis Bentzon, il quale ha registrato e filmato diverse esecuzioni musicali che poi ha catalogato e trascritto su pentagramma.
Canto ad una sola voce è invece quello dei cantadores che improvvisano versi su un tema assegnato in gare che si svolgono nelle feste patronali di tutta l'Isola. Altre forme canore diffuse sono i muttos dell'area logudorese-barbaricina e i muttettos diffusi nel Campidano e generalmente di contenuto amoroso o satirico.
Il cantu a chiterra è una tipica espressione artistica nata in Logudoro (probabilmente a Ozieri) e sviluppatasi successivamente anche in Gallura, dove ha avuto grande diffusione. Si suppone che abbia avuto origine dal contatto tra le tradizioni musicali spagnole e quelle sardo-logudoresi. Ha avuto una gran diffusione a partire dal XX secolo grazie alle numerose feste paesane durante le quali si svolgevano (e si svolgono attualmente delle vere e proprie competizioni tra cantadores) accompagnati da un chitarrista e spesso anche da un fisarmonicista [3].
Costante resistenziale sarda.
Con il concetto di Costante resistenziale sarda l'archeologo Giovanni Lilliu riassume la lotta millenaria condotta dal popolo sardo contro le potenze coloniali che di volta in volta si sono affacciate sulle coste dell' Isola. Una lotta dai forti connotati nazionali ma anche, almeno in tempi moderni, sociali e progressisti. L'illustre studioso sintetizza in questo modo il suo concetto:
«..La Sardegna, in ogni tempo, ha avuto uno strano marchio storico: quello di essere stata sempre dominata (in qualche modo ancora oggi), ma di avere sempre resistito. Un'Isola sulla quale è calata per i secoli la mano oppressiva del colonizzatore, a cui ha opposto, sistematicamente, il graffio della resistenza. Perciò, i Sardi hanno avuto l'aggressione di integrazioni di ogni specie ma, nonostante, sono riusciti a conservarsi sempre se stessi. Nella confusione etnica e culturale che li ha inondati per millenni sono riemersi, costantemente, nella fedeltà alle origini autentiche e pure. Questo è stato, ed è certamente, un miracolo, a pensare che l'Isola, per la sua posizione geografica, è tracciata in ogni senso, è un terminal da ogni parte; e che la vasta solitudine dei suoi spazi (si parla di essa come di un continente) ha invitato e invita a riempirli gente d'ogni sangue e colore.»
(Giovanni Lilliu, la Costante resistenziale sarda; p. 225)
[4].