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Giovanni Migliara e il fascino pittoresco degli antichi monumenti. Molteni, Ronzoni, Piccio, Inganni protagonisti del Romanticismo lombardo (Sale 6 e 7)
Sono presenti 22 opere, prevalentemente realizzate da Giovanni Migliara.
La sezione inizia con il ritratto di Giovanni Migliara eseguito da Giuseppe Molteni
Giuseppe Molteni (1800–1867) Ritratto del pittore Giovanni Migliara seduto davanti al suo cavalletto
Giovanni Migliara (1785–1837) Capriccio veneziano
Descrizione
Il dipinto riporta sul telaio un’etichetta riferibile alla Mostra Commemorativa dedicata a Giovanni Migliara ordinata presso la Pinacoteca Civica di Alessandria nel 1937, quando fu presentato per la prima volta un consistente nucleo dei dipinti rappresentativi dell’artista, provenienti dalle principali collezioni pubbliche e private italiane. Il catalogo dell’esposizione, tuttavia, non menziona quest’opera, bensì una replica di proprietà dell’Accademia Carrara di Bergamo intitolata Chiesa Veneta, che conserva tutt’oggi l’etichetta originale della mostra del 1937, completa del numero con il quale risultava esposta (n. 1, sez. IV). A un esame ravvicinato, i due dipinti appaiono pressoché identici nel formato e nel soggetto, ed entrambi risultano eseguiti a olio su carta riportato su tela. Questa particolare tecnica pittorica non solo facilita la riproduzione seriale dei soggetti, ma permette di raggiungere effetti di eccezionale brillantezza e levigatezza: una pittura smaltata a imitazione delle miniature di gusto neofiammingo diffuse a Milano nel primo decennio dell’Ottocento dai maestri francesi.
L’opera raffigura una veduta d’invenzione alla veneziana, ispirata alla tradizione settecentesca dei capricci, che combinano liberamente elementi di fantasia e architetture reali, spesso catturando in un’unica veduta d’insieme i principali monumenti italiani di ogni epoca. Migliara rinnova questo genere pittorico abbandonando l’ampia visione per piani paralleli di matrice settecentesca, mettendo a frutto gli studi scenografici condotti sotto la guida di Gaspare Galliari (1760-1818). Come in un fondale teatrale, gli edifici in primo piano in controluce aprono sulla chiesa in evidenza, lasciando intravedere i monumenti che sfumano in lontananza sul canale.
Qui il dato di partenza è costituito dall’acquaforte di Antonio Canal, detto il Canaletto, raffigurante la Veduta fantastica con San Giacometto di Rialto, già replicata da Migliara in un dipinto con lo stesso titolo (Venezia, Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro). Nell’opera in Collezione, tuttavia, l’artista recupera soltanto qualche dettaglio dalla celebre incisione canalettiana, come il portico, il tetto a capanna, il colonnato e il timpano che caratterizzano la facciata dell’edificio, sul quale si innestano anche elementi lombardi. Il motivo dei medaglioni scolpiti sull’alto zoccolo in marmo bianco ricorre con frequenza nelle opere della prima metà degli anni Dieci, liberamente reimpiegato sia per le vedute veneziane, sia per i primi scorci milanesi che figurano all’Esposizione di Belle Arti di Brera fin dal 1812, in occasione dell’esordio ufficiale del pittore.
Oltre alla già citata versione dell’Accademia Carrara, si conoscono altre due versioni del dipinto in Collezione: la Prospettiva con macchiette (già di proprietà del conte Guido Barbiano di Belgiojoso di Milano) che figurava alla mostra La pittura lombarda nel secolo XIX, allestita presso la Società delle Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano nel 1900, e una riproduzione parziale del soggetto, ricordata nella monografia sull’artista di Arturo Mensi, edita del 1937, come di proprietà dell’avvocato Carlo Rossi di Milano.
L’esecuzione di numerose copie autografe dell’opera e di parziali riproduzioni del soggetto conferma la duratura fortuna goduta dai temi di ispirazione veneziana presso i maggiori collezionisti milanesi, che fin dalla metà del Settecento vantavano nelle loro raccolte opere di Canaletto e Bernardo Bellotto. All’aprirsi del secolo successivo Giovanni Migliara si fa interprete dell’ampia divulgazione di questi soggetti attraverso copie e opere d’invenzione destinate ancora all’aristocrazia, ma soprattutto alla media borghesia, che gradiva la facile reperibilità sul mercato e i prezzi contenuti, sostenuti da una produzione seriale.
Giovanni Migliara (1785–1837) Capriccio veneziano
Descrizione Il dipinto riporta sul telaio un’etichetta riferibile alla Mostra Commemorativa dedicata a Giovanni Migliara ordinata presso la Pinacoteca Civica di Alessandria nel 1937, quando fu presentato per la prima volta un consistente nucleo dei dipinti rappresentativi dell’artista, provenienti dalle principali collezioni pubbliche e private italiane. Il catalogo dell’esposizione, tuttavia, non menziona quest’opera, bensì una replica di proprietà dell’Accademia Carrara di Bergamo intitolata Chiesa Veneta, che conserva tutt’oggi l’etichetta originale della mostra del 1937, completa del numero con il quale risultava esposta (n. 1, sez. IV). A un esame ravvicinato, i due dipinti appaiono pressoché identici nel formato e nel soggetto, ed entrambi risultano eseguiti a olio su carta riportato su tela. Questa particolare tecnica pittorica non solo facilita la riproduzione seriale dei soggetti, ma permette di raggiungere effetti di eccezionale brillantezza e levigatezza: una pittura smaltata a imitazione delle miniature di gusto neofiammingo diffuse a Milano nel primo decennio dell’Ottocento dai maestri francesi.
L’opera raffigura una veduta d’invenzione alla veneziana, ispirata alla tradizione settecentesca dei capricci, che combinano liberamente elementi di fantasia e architetture reali, spesso catturando in un’unica veduta d’insieme i principali monumenti italiani di ogni epoca. Migliara rinnova questo genere pittorico abbandonando l’ampia visione per piani paralleli di matrice settecentesca, mettendo a frutto gli studi scenografici condotti sotto la guida di Gaspare Galliari (1760-1818). Come in un fondale teatrale, gli edifici in primo piano in controluce aprono sulla chiesa in evidenza, lasciando intravedere i monumenti che sfumano in lontananza sul canale.
Qui il dato di partenza è costituito dall’acquaforte di Antonio Canal, detto il Canaletto, raffigurante la Veduta fantastica con San Giacometto di Rialto, già replicata da Migliara in un dipinto con lo stesso titolo (Venezia, Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro). Nell’opera in Collezione, tuttavia, l’artista recupera soltanto qualche dettaglio dalla celebre incisione canalettiana, come il portico, il tetto a capanna, il colonnato e il timpano che caratterizzano la facciata dell’edificio, sul quale si innestano anche elementi lombardi. Il motivo dei medaglioni scolpiti sull’alto zoccolo in marmo bianco ricorre con frequenza nelle opere della prima metà degli anni Dieci, liberamente reimpiegato sia per le vedute veneziane, sia per i primi scorci milanesi che figurano all’Esposizione di Belle Arti di Brera fin dal 1812, in occasione dell’esordio ufficiale del pittore.
Oltre alla già citata versione dell’Accademia Carrara, si conoscono altre due versioni del dipinto in Collezione: la Prospettiva con macchiette (già di proprietà del conte Guido Barbiano di Belgiojoso di Milano) che figurava alla mostra La pittura lombarda nel secolo XIX, allestita presso la Società delle Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano nel 1900, e una riproduzione parziale del soggetto, ricordata nella monografia sull’artista di Arturo Mensi, edita del 1937, come di proprietà dell’avvocato Carlo Rossi di Milano.
L’esecuzione di numerose copie autografe dell’opera e di parziali riproduzioni del soggetto conferma la duratura fortuna goduta dai temi di ispirazione veneziana presso i maggiori collezionisti milanesi, che fin dalla metà del Settecento vantavano nelle loro raccolte opere di Canaletto e Bernardo Bellotto. All’aprirsi del secolo successivo Giovanni Migliara si fa interprete dell’ampia divulgazione di questi soggetti attraverso copie e opere d’invenzione destinate ancora all’aristocrazia, ma soprattutto alla media borghesia, che gradiva la facile reperibilità sul mercato e i prezzi contenuti, sostenuti da una produzione seriale.
21. Giovanni Migliara (1785–1837) Veduta di Palazzo Ducale a Venezia
22. Giovanni Migliara (1785–1837) Veduta dei dintorni di Lecco
23. Giovanni Migliara (1785–1837) Il ritorno dei Padri Cappuccini nel convento dopo la cerca con la provisione invernale
24. Giovanni Migliara (1785–1837) Paesaggio con cavalli
25. Giovanni Migliara (1785–1837) Carlo V si ritira nel convento di San Giusto nell’Estremadura
Giovanni Migliara (1785–1837) La Vallière visitata nel chiostro da Luigi XIV
Giovanni Migliara (1785–1837) Interno di un chiostro del Monastero Maggiore a Milano
Descrizione Sul telaio dell’opera è ancora parzialmente visibile un’etichetta riferibile alla Mostra Commemorativa dedicata a Giovanni Migliara, allestita presso la Pinacoteca Civica di Alessandria nel 1937, tuttavia il dipinto non è menzionato nel catalogo dell’esposizione. Nell’atto di acquisto, nel 1985, il quadro è indicato dal venditore come facente parte della medesima raccolta privata dalla quale proveniva l’importante nucleo di quindici opere di Migliara entrato in Collezione quell’anno. Tra queste anche il Prospetto della facciata del Duomo in Milano, già identificata (1999) come versione di proprietà Rizzoli, ma che, invece, figurava all’esposizione alessandrina, sebbene allo stato attuale non conservi alcuna etichetta riferibile alla mostra.
In considerazione del fatto che quest’ultimo quadro presenta le stesse dimensioni di quello in esame, si potrebbe supporre che in occasione degli interventi di restauro e foderatura precedenti all’ingresso in Collezione possa essere avvenuto per errore lo scambio dei due telai, con un conseguente trasferimento delle etichette.
Una possibile traccia per ricostruire la vicenda critica e i passaggi di proprietà dell’opera si trova nella monografia dell’artista redatta nel 1937, dove è ricordato un dipinto eseguito ad olio su tela riportata su carta, intitolato Monastero Maggiore con suore e donna con bambino, di dimensioni e tecnica corrispondenti all’opera in Collezione. L’antica iscrizione “Monastero” sulla cornice, sembrerebbe avvalorare quest’ipotesi, mentre il titolo Milano, Interno dell’Ospedale Maggiore che contrassegnava l’opera al momento della sua cessione, nel 1985, lascia supporre che nel corso degli anni sia stato svisato anche il soggetto del dipinto. La veduta del chiostro incorniciata dal vano della porta sembrerebbe, infatti, rimandare al Monastero benedettino milanese riformato da san Carlo Borromeo nel 1569, e soppresso nel 1798, raffigurato ripetutamente da Migliara in numerosi altri dipinti, tra i quali il Chiostro del Monastero Maggiore a Milano (Alessandria, Civici Musei) e l’Interno di un chiostro con monache (chiostro di San Maurizio al Monastero Maggiore di Milano) (Milano, Pinacoteca Ambrosiana).
Due suore soccorrono con cibo e acqua una giovane donna e il suo bambino sofferente nel vestibolo di un convento. Il ritratto di san Carlo Borromeo ben in vista alla parete e, soprattutto, il costume popolare antico della donna, con il velo sul capo e il grembiule colorato, permettono di ipotizzare l’ambientazione della scena in un monastero milanese, sul finire del XVI secolo. Vicende ed episodi tratti dalla vita conventuale medievale e rinascimentale avevano ripetutamente ispirato pittori e letterati romantici, in un intreccio di suggestioni e rimandi: dalla Ildegonda di Tommaso Grossi, illustrata proprio da Giovanni Migliara per l’edizione del 1825, fino alla celeberrima vicenda di Suor Geltrude ne I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, romanzo dal quale il pittore ricaverà anche una serie di disegni, tra i quali Don Abbondio che sale sulla mula (già proprietà Carlo e Felice Bongioanni, Casteggio).
Agli occhi del pubblico di Migliara, lo spirito caritatevole della chiesa antica, raffigurato nel dipinto, doveva apparire in contrasto con la vita gaudente e godereccia del clero contemporaneo. Un costume, quest’ultimo, che il pittore aveva ripetutamente censurato con uno sguardo disincantato e ironico in molte sue tele, tra le quali anche Date et dabitur vobis (“date e vi sarà dato”) (ubicazione ignota), nella quale un frate panciuto si fa interprete dell’ammonimento evangelico alla carità distribuendo colpi di mestolo tra i poveri in fila in attesa della zuppa. Lo stesso tono divertito, reso più pungente per l’adozione di citazioni religiose, accostate a immagini in contrasto con il loro messaggio morale, ricorre anche nei dipinti in Collezione Frati in cucina e Il Ritorno dalla Questua. Gli accenti di critica anticlericale, talvolta con un’enfasi sarcastica forse non del tutto priva di valenze politiche, erano diffusi negli ambienti artistici della Restaurazione, e costituivano un elemento distintivo della pittura di Migliara.
28. Giovanni Migliara (1785–1837) Frati in cucina
29. Giovanni Migliara (1785–1837) Interno di convento
30. Teodolinda Sabaino Migliara Interno della basilica di San Lorenzo a Milano.
Giovanni Migliara (1785–1837) Interno di una chiesa
32. Giovanni Migliara (1785–1837) Interno del Duomo di Pisa
Giovanni Migliara (1785–1837) Interno di una chiesa
Descrizione
Entrata in Collezione nel 1985, l’opera ritrae l’interno di una chiesa medievale durante una funzione religiosa. Nello spazio ridottissimo di questa miniatura a olio su legno Migliara offre una prova esemplare della sua produzione, dimostrando di saper fondere una rigorosissima veduta prospettica alla gustosa narrazione di eventi contemporanei. Questi quadretti ‘da guardare tutti da vicino’ garantirono all’artista fin dagli esordi, il favore della critica e di un pubblico colto che li collezionava come piccoli oggetti preziosi, destinati ad arredare studioli e cabinets.
Il pittore ricostruisce con precisione l’ambiente, soffermandosi sui numerosissimi dettagli che connotano il luogo - l’affresco con l’Adorazione dei Magi nel sottarco, la pala cinquecentesca sull’altare, gli elementi dell’ornato architettonico, le lampade, i quadri, l’acquasantiera - fino a inserire sulla porta all’estrema destra della scena l’iscrizione “SS. GERV”, allusiva alla titolazione della chiesa, forse dedicata ai santi Gervasio e Protasio, ma non riconoscibile dal momento che non si conservano schizzi collegabili a quest’opera nei taccuini dell’artista. Del resto Migliara amava introdurre nei suoi dipinti qualche indizio che permettesse al pubblico di identificare il luogo o la scena rappresentati, senza rinunciare all’inserzione di particolari fantastici. Una prassi di lavoro che la critica contemporanea registrò positivamente apprezzando la puntualità dei dettagli non meno della capacità evocativa delle sue opere, che si inscrivono a pieno titolo nel recupero critico e artistico del Medioevo proprio della cultura romantica.
Contribuisce a restituire la suggestione dell’ambiente la raffinata resa luministica del dipinto, tutta giocata sull’intenso contrasto tra le ampie zone in ombra e quelle colpite dal raggio di sole che filtra dal finestrone superiore dell’abside, mettendo così in risalto mistico il sacerdote che sta officiando circondato da un gruppo di devoti. Un altro gruppo di fedeli è raccolto in preghiera davanti all’altare - sovrastato dalla bella pala cinquecentesca e, in parte, nascosto dal tramezzo ligneo dalle vivaci tende rosse - mentre un’elegante coppia di visitatori con un bambino e un cane, incuranti del rito che si sta compiendo, spezzano l’atmosfera intima e sacrale del luogo.
La raffinatissima tecnica miniaturistica, l’elegante luminismo dalle tonalità ambrate e il soggetto che contraddistinguono l’opera sono largamente ricavati dalla tradizione artistica fiamminga, mediata però attraverso le prove di maggior successo dei pittori francesi François Marius Granet, Henry Fradelle, Pierre Revoil, per rispondere alle esigenze del pubblico contemporaneo.
Nel percorso dell’artista gli interni monumentali popolati di scene di vita contemporanea costituiscono uno dei motivi ricorrenti: dalle prove miniaturistiche dalla pennellata veloce e pastosa, come questa in esame, assimilabile stilisticamente alla Veduta con cavalli in Collezione; a versioni di grandi dimensioni dove sono riprodotti i maggiori monumenti italiani con scrupolo documentario, come nelle diverse redazioni dell’Interno del Duomo di Milano, di San Marco a Venezia, della Parte interna del Duomo di Pisa, del Santuario di Subiaco, dell’Interno del monastero di Altacomba; senza mai rinunciare ad architetture ‘d’invenzione’, ricavate da spunti diversi, o anonime come l’Interno di una chiesa del 1832, in Collezione, o l’Interno di chiesa dei bassi tempi presentata all’Esposizione di Belle Arti di Brera nel 1833.
Una vastissima produzione che spinse Giuseppe Mazzini, acuto commentatore dell’arte contemporanea, a riconoscere in Migliara l’artista che aveva elevato la pittura prospettica alla dignità della pittura di storia, ma soprattutto colui che aveva realizzato con le sue opere un vero e proprio repertorio di grandi monumenti del passato nella loro dimensione viva e attuale, in grado di evocare per immagini l’identità della nazione e di risvegliare, attraverso la loro contemplazione, lo spirito patriottico degli italiani.
Giovanni Migliara (1785–1837) Interno del monastero di Altacomba
Giuseppe Molteni (1800–1867) La confessione
Descrizione
Il dipinto, passato ripetutamente sul mercato antiquario nella seconda metà degli anni Ottanta, è entrato in Collezione nel 1998, racchiuso nella cornice originale neobarocca, proveniente da una raccolta privata. Le vicende collezionistiche dell’opera ebbero avvio nel 1838 con l’acquisto da parte dell’imperatore Ferdinando I, che la destinò alla Galleria del Belvedere di Vienna. In seguito ai rovesci finanziari della monarchia asburgica, ne fu decisa l’alienazione insieme ad altri quadri italiani della collezione, che passarono all’asta presso la Galleria Scopinich di Milano nel 1928.
Presentato all’Esposizione di Belle Arti di Brera del 1838, il dipinto ottenne uno straordinario successo di pubblico e critica - ulteriormente amplificato dall’acquisizione imperiale - in ragione del soggetto, direttamente ispirato alla vita contemporanea, proposto nelle grandi dimensioni fino ad allora riservate alla pittura di storia. Il modello iconografico e compositivo dell’opera è forse rintracciabile nella Confessione del pittore bolognese Giuseppe Maria Crespi (1665-1747) del 1712 (Dresda, Staatliche Kunstsammlungen), che ritrae il sacramento nella sua dimensione quotidiana e familiare.
La donna inginocchiata al confessionale, di una bellezza insieme soave e maliziosa, fu identificata da una parte della critica contemporanea come una giovane madre che si sarebbe abbandonata alle lusinghe di un cugino. Descritta con accuratezza fin nei minimi dettagli dell’arredo e delle vesti, la scena di attualità, si proponeva di rappresentare il bello morale della vita comune, sulla suggestione delle idee del critico di orientamento cattolico Pietro Estense Selvatico. Giuseppe Molteni, già ricercato ritrattista alla moda nel corso degli anni Trenta, divenne l’artefice di una pittura di genere, richiestissima dal mercato, in grado di spaziare da soggetti di costume a temi popolari, variamente declinati dal tono narrativo e popolaresco fino ad accenti drammatici di denuncia sociale.
Giovanni Carnovali (1804–1873) Ritratto di Pietro Ronzoni
Pietro Ronzoni Filanda nel bergamasco
38. Pittore lombardo, Ritratto dell'industriale tessile Luigi Peroni, 1855-1860
Angelo Inganni Contadino che accende la candela con un tizzone ardente
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