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sopravveste di lana o di altro tessuto, il cui uso è tradizionalmente legato all'appartenenza a una professione o categoria sociale Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La toga, il cui nome è connesso con il verbo latino tego che significa "ricoprire", è una sopravveste di lana o di altro tessuto il cui uso è stato ed è tradizionalmente legato all'appartenenza a una determinata professione o categoria sociale.
Con questa parola ci si riferisce in particolare:
La toga era usata nell'antica Roma come mantello sopra la tunica.
Tito Livio e Floro raccontano che la toga pretesta (in latino toga praetexta) fu importata a Roma come usanza dei vicini Etruschi al tempo di Tarquinio Prisco[1]. Era un tipo di toga bordata di rosso che veniva indossata da tutti i più alti magistrati.
«A me non dispiace la teoria di quelli che sostengono che [l'uso dei dodici littori siano stati] importati dalla vicina Etruria (da dove furono introdotte la sella curule e la toga pretesta) tanto questa tipologia di subalterni, quanto il loro stesso numero. Essi credono che ciò fosse così per gli Etruschi poiché, una volta eletto il re dall'insieme dei dodici popoli, ciascuno di essi forniva un littore.»
L'uso della toga era riservato esclusivamente ai cittadini romani maschi, mentre gli schiavi e gli stranieri non avevano il diritto di indossarla. Mentre le donne romane adottarono gradualmente la stola, la toga fu riconosciuta come abbigliamento formale per i cittadini romani maschi.[2] Le donne impegnate nella prostituzione potrebbero aver fornito la principale eccezione a questa regola.[3] Chi era condannato all'esilio perdeva il diritto a indossarla, lo ius togae[4]. Solo più tardi ne fu concesso l'uso a tutti gli abitanti dell'impero. Secondo alcune testimonianze i cittadini delle province tendevano a non indossarla[5] e anche gli stessi Romani, con l'avvento del periodo imperiale, iniziarono ad abbandonarne l'uso, tanto che Augusto fu costretto ad imporre che i cittadini la usassero almeno nel Foro[6]. Ecco cosa scrive Svetonio:
«Si applicò per far riprendere la moda e il costume di un tempo: un giorno, vedendo in un'adunanza del popolo una folla di gente malvestita, indignato esclamò: "Ecco i Romani, padroni del mondo e il popolo che indossa la toga", e diede incarico agli edili, dopo ciò, di non tollerare che nel Foro e nei dintorni si fermasse qualcuno se non avesse prima abbandonato il mantello che copriva la toga.»
Di qualsiasi tipo fosse, era un grande mantello ovale, ripiegato in due nel senso della lunghezza. Si indossava creando dapprima un mazzo di pieghe che dovevano essere appoggiate sulla spalla sinistra; la si passava poi attorno al corpo lasciando libera la spalla destra. Essendo ampia e pesante, la toga dava un aspetto imponente a chi la portava e ben rappresentava l'importanza di Roma, dominatrice del mondo antico.
Tra le varianti di toga ci sono:
Alcune professioni e cariche pubbliche di origine per lo più medievale e di particolare prestigio intellettuale possono usare anche attualmente la toga:
Durante lo svolgimento dei loro compiti professionali questi funzionari indossavano, e spesso indossano ancora abitualmente o in occasioni formali, specifici abiti di diversa foggia che vanno tutti sotto il nome di toga. Tradizionalmente questo abito serviva per differenziarsi dal resto della popolazione e all'interno dello stesso ordine per distinguere particolari gradi, funzioni o prerogative.
Anche alcuni pastori protestanti, soprattutto quelli di tradizione luterana e calvinista, indossano normalmente una toga durante il culto evangelico, in particolare durante la predicazione. Questa prassi fu voluta dai primi riformatori in esplicita polemica con l'uso cattolico-romano dei paramenti liturgici: la toga era un abito laico, come laico è a tutti gli effetti il pastore, ma era anche il segno di chi aveva visto pubblicamente riconosciuta la sua formazione accademica, normalmente con il conseguimento del dottorato. Di conseguenza, il pastore riformato continua a essere un membro di chiesa non rivestito di particolari funzioni sacerdotali che, in virtù dei suoi studi teologici pubblicamente riconosciuti, viene scelto per una funzione ecclesiastica analoga a quella civile del magistrato che applica ai casi concreti una legge non stabilita dal magistrato stesso. Nel caso del pastore, questa legge è la Scrittura.
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