Senatus consultum de Bacchanalibus
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Il Senatus consultum de Bacchanalibus è un decreto del Senato romano col quale furono vietati in tutta Italia i Bacchanalia, eccezion fatta per alcuni casi specifici che dovevano essere esplicitamente approvati dal Senato stesso.
Senatus consultum de Bacchanalibus | |
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Senato di Roma | |
Tipo | Senatoconsulto |
Nome latino | Senatus consultum de Bacchanalibus |
Anno | 186 a.C. |
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Una copia, fatta incidere dal pretore in carica, è stata ritrovata su un'iscrizione[1] in latino arcaico risalente al 186 a. C., ritrovata nel 1640 a Tiriolo, in provincia di Catanzaro.
Quando i membri dell'élite cominciarono a prendere parte a questi riti, le notizie che li riguardavano vennero portate davanti al Senato. Il culto fu ritenuto una minaccia per la sicurezza dello stato, furono nominati degli inquirenti, vennero offerte ricompense agli informatori, vennero istruiti veri e propri processi e il Senato cominciò a sopprimere ufficialmente il culto in tutta Italia. Secondo lo storico di epoca augustea Tito Livio, principale fonte storica, diversi uomini si suicidarono pur di evitare un'accusa formale[2]. Per i capi venne decisa la pena capitale. Livio afferma che ci furono più condanne a morte che incarcerazioni[3]. Dopo che la cospirazione fu sedata, i Bacchanalia sopravvissero solo nel sud Italia.