Schiavitù nell'Impero ottomano
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La pratica della schiavitù giocò un ruolo sociale ed economico importantissimo nell'impero ottomano[1], soprattutto nei secoli XIV e XVII: si stima che nel 1609 un quinto della popolazione di Costantinopoli (odierna Istanbul), capitale dell'Impero, fosse costituita da schiavi[2] e che, tra XV e XVIII secolo, i turchi abbiano importato 2,5 milioni di schiavi dalle piazze del Mar Nero[3].
Gli schiavi venivano procacciati dalle spedizioni militari (a seguito delle quali il costo degli schiavi precipitava data l'abbondanza di merce[4]) e/o dalle incursioni ai danni dei paesi europei (Italia, Balcani e Caucaso) e africani (Africa settentrionale). La tratta degli schiavi coinvolgeva attivamente anche popolazioni alleate degli ottomani: i corsari barbareschi[5], le cui scorrerie, abbinate a quella della marina militare turca, avevano fatto del Mediterraneo un vero e proprio "mare della paura"[6] e i Tatari di Crimea.
Nonostante diversi interventi e misure governative volte a cancellare la pratica della schiavitù nell'Impero ottomano siano state avviate sin dal XIX secolo (es. la formale abolizione della tratta di schiavi caucasici[7]) essa rimase pratica diffusa sino ai primordi del XX secolo. Ancora nel 1908, le donne erano vendute come schiave dai turchi[8]. Ciò anche in ragione del fatto che la schiavitù sessuale giocò sempre un ruolo fondamentale nel costume e nella società ottomana[9][10]: donne giovanissime e belle - meglio se di estrazione nobile - erano prede ambite da collocare sul mercato come concubine per gli harem di ricchi signori ottomani ma potevano anche essere utilizzate come semplici domestiche per le padrone musulmane.
Nella società ottomana, uno schiavo (tu. kul) poteva raggiungere un alto status sociale. L'esercito privato del sultano ottomano, il c.d. Kapıkulu (del quale facevano parte i famosi giannizzeri), era integralmente composto da schiavi e schiavi del sultano, almeno in origine, furono molti dei grandi statisti dell'Impero[8], poi affrancati per i loro meriti. Nel proprio palazzo d'Istanbul, il sultano disponeva di una vera e propria scuola che insegnava ai giovani schiavi i segreti della complessa realtà cortigiana ottomana ed inculcava loro la più assoluta fedeltà.