Reazioni all'attentato di via Rasella e all'eccidio delle Fosse Ardeatine
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Le reazioni all'attentato e alla rappresaglia risultano sia da documentazione diretta (di natura pubblica o privata) coeva ai fatti, sia da diari, memorie e testimonianze pubblicate nel dopoguerra: quest'ultima tipologia di fonti non sempre è considerata attendibile dagli storici[N 1].
La Santa Sede prese pubblicamente posizione sull'attentato di via Rasella e l'eccidio delle Fosse Ardeatine tramite un comunicato su L'Osservatore Romano del 26 marzo 1944, accomunando i due eventi in un unico giudizio di condanna.
Secondo le memorie di Giorgio Amendola, ideatore dell'attentato nonché rappresentante del Partito Comunista Italiano nella giunta militare del CLN centrale, quando tale organo si riunì il 26 marzo egli chiese che fosse emanato un comunicato che, oltre a condannare l'eccidio, rivendicasse l'azione partigiana. Tuttavia, quest'ultima proposta trovò l'opposizione del delegato della Democrazia Cristiana, Giuseppe Spataro, il quale contestò l'opportunità dell'attentato e al contrario chiese un comunicato di dissociazione, proponendo inoltre che ogni futura azione fosse preventivamente approvata dalla giunta. Poiché le deliberazioni venivano prese solo all'unanimità, nessuna delle due mozioni fu approvata, cosicché l'attentato fu autonomamente rivendicato dai comunisti su l'Unità del 30 marzo, mentre solo a metà aprile il CLN emise un comunicato di condanna verso la rappresaglia tedesca, retrodatato al 28 marzo per nascondere i contrasti.
Forte fu l'emozione suscitata dal massacro presso l'opinione pubblica e la stampa antifascista clandestina, sebbene la precisa entità dell'esecuzione di massa e le sue modalità furono scoperte solo dopo la liberazione di Roma, allorché si rese possibile l'esplorazione delle Fosse Ardeatine. Alcune conversazioni telefoniche intercettate in quei giorni, pubblicate dallo storico Aurelio Lepre nel 1996[1], mostrano che «in alcuni settori della popolazione la deprecazione nei confronti dell'attentato sopravanzò l'avversione prodotta dalle esecuzioni»[2], ma la possibilità che l'opinione degli intercettati corrispondesse alla generale opinione pubblica romana è stata discussa dagli storici.
La stampa fascista indicò nei partigiani i soli responsabili dell'eccidio, falsamente presentato come rappresaglia conforme alle leggi di guerra. Reazioni critiche verso l'opportunità dell'attentato si ebbero inoltre in ambienti vicini al governo Badoglio e alla resistenza militare, presso gli agenti segreti alleati, nonché da parte della formazione partigiana Bandiera Rossa.