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politico romano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Quinto Cecilio Metello (in latino Quintus Caecilius Metellus; 250 a.C. circa – 175 a.C.) è stato un politico romano durante l'epoca repubblicana.
Quinto Cecilio Metello | |
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Console della Repubblica romana | |
Nascita | 250 a.C. circa |
Morte | 175 a.C. |
Gens | Caecilia, ramo dei Metelli |
Edilità | 209 e 208 a.C. |
Consolato | 206 a.C. |
Dittatura | 205 a.C. |
Pontificato max | 216 a.C. |
Figlio di Lucio Cecilio Metello fu pontefice massimo nel 216 a.C.,[1] edile nel 209 a.C. e nel 208 a.C., console nel 206 a.C. con Lucio Veturio Filone (console 206 aC), dittatore nel 205 a.C. per la convocazione dei comizi e ambasciatore alla corte di Filippo V di Macedonia, dove fu inviato nel 185 a.C. per le sue doti di valente oratore.
Servì come legatus nell'esercito di Gaio Claudio Nerone e partecipò alla guerra contro Annibale. Nel 201 a.C. fece parte della commissione istituita per la ripartizione dei terreni del Sannio e dell'Apulia ai soldati che avevano partecipato alla guerra. Si distinse anche come oratore, soprattutto per il discorso tenuto al funerale del padre, riportato da Plinio il Vecchio.[2]
Fu sostenitore degli Scipioni e strenuo avversario del poeta Nevio, che fece imprigionare per gli attacchi contro la sua famiglia e contro quella degli Scipioni.
Fu il padre di Quinto Cecilio Metello Macedonico e di Lucio Cecilio Metello Calvo.
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