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movimento filosofico e culturale Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il positivismo è un movimento filosofico e culturale, nato in Francia e Gran Bretagna nella prima metà dell'Ottocento e ispirato ad alcune idee guida fondamentali riferite in genere alla valorizzazione precipua del progresso tecnico-scientifico. Questa corrente di pensiero, trainata dalle rivoluzioni industriali e dalla letteratura a esso collegata[1], si diffonde nella seconda metà del secolo a livello europeo e mondiale influenzando anche la nascita di movimenti letterari come il verismo in Italia e il naturalismo in Francia.
«L'amore per principio, l'ordine per fondamento, il progresso per fine.»
Il positivismo non si configura dunque come un pensiero filosofico organizzato in un sistema definito come quello che aveva caratterizzato la filosofia idealistica, ma piuttosto come un movimento per certi aspetti simile all'illuminismo, di cui condivide la fiducia nella scienza e nel progresso scientifico-tecnologico, e per altri affine alla concezione romantica della storia che vede nella progressiva affermazione della ragione la base del progresso o dell'evoluzione sociale.
Il termine "positivismo" deriva etimologicamente dal latino positum, participio passato del verbo ponere tradotto come "ciò che è posto", fondato, che ha le sue basi nella realtà dei fatti concreti. Auguste Comte espone le cinque accezioni fondamentali in cui riassume il significato del termine all'interno del Discorso sullo spirito positivo.[2]
«Considerata anzitutto nella sua accezione più antica e più comune, la parola positivo designa
In un secondo senso, molto vicino al precedente, ma tuttavia distinto, questo termine fondamentale indica
Secondo un terzo significato in uso, questa felice espressione è frequentemente usata per qualificare
Una quarta ordinaria accezione, troppo spesso confusa con la precedente, consiste
Bisogna infine notare in particolare un quinto significato, meno usato degli altri, anche se del resto ugualmente universale, quando si usa
Nel positivismo si possono distinguere due fasi. Nella prima metà del XIX secolo, a cominciare dal periodo della restaurazione il positivismo si presenta come il progetto di superamento della crisi politica e culturale seguita all'Illuminismo e alla rivoluzione francese, tramite un programma politico antiliberale[4]; in questo periodo il positivismo è messo in ombra dalla preminente cultura romantica e dalla filosofia dell'Idealismo, ma è proprio in questi anni che nasce il termine positivismo per opera di Henri de Saint-Simon (coadiuvato, decisivamente, nelle sue elaborazioni sociologiche, dallo storico Augustin Thierry), che lo usò per la prima volta nell'opera Catechismo degli industriali (1823-1824) e che venne diffuso da Auguste Comte quando nel 1830 pubblicò il primo volume del Corso di filosofia positiva. Nella seconda metà dell'Ottocento il positivismo rappresenta l'elaborazione ideologica di una borghesia industriale e progressista per cui, in particolare nel Regno Unito, ma anche nel resto d'Europa, trova corrispondenze con l'affermazione del pensiero economico del liberismo[5]; in questa fase il positivismo, messa da parte la filosofia idealistica considerata come un'inutile astrazione metafisica, si caratterizza per la fiducia nel progresso scientifico e per il tentativo di applicare il metodo scientifico a tutte le sfere della conoscenza e della vita umana.
Il positivismo diviene la cultura predominante della classe borghese. Secondo Ludovico Geymonat infatti, sebbene non possa stabilirsi una rigida identità tra Positivismo e borghesia, in quanto essa ha incoraggiato il positivismo ma per certi aspetti lo ha anche contrastato, non vi è dubbio che il positivismo della seconda metà del XIX secolo ha rappresentato anche e in modo rilevante gli ideali borghesi quali l'ottimismo nei confronti della moderna società industriale[6] e il riformismo politico in opposizione al conservatorismo e nello stesso tempo al rivoluzionarismo marxista fortemente critico nei confronti del moderno sistema industriale che non teneva conto dei "costi umani" collegati allo sviluppo economico. Non a caso il positivismo si diffonde soprattutto nei paesi più progrediti industrialmente mentre è limitatamente presente in quelli meno sviluppati come l'Italia.[7]
Il positivismo si sviluppa in un periodo in cui l'Europa, dopo la guerra di Crimea e quella franco-prussiana sta attraversando un periodo di pace che favorisce la borghesia nell'espansione coloniale in Africa e in Asia e nella contemporanea evoluzione del capitalismo industriale in un fenomeno economico internazionale.
C'è una profonda trasformazione anche nei modi di vita della città, dove si verificano, in pochi anni, cambiamenti più incisivi di quelli avvenuti nei secoli precedenti con le innovazioni tecnologiche dell'uso della macchina a vapore, dell'elettricità, delle ferrovie che mutano profondamente non solo le dimensioni spazio-temporali ma anche quelle intellettuali. Tutto questo porterà nei primi anni del '900 a quella esaltazione delle "magnifiche sorti e progressive"[8] raggiunte dall'Europa della Belle Époque che si avvia al crollo delle illusioni nel baratro della prima guerra mondiale.
Assumendo come spartiacque le teorie di Charles Darwin, secondo la tradizione, il positivismo è stato diviso in due correnti fondamentali:
Oggi si preferisce identificare i vari aspetti del positivismo attraverso i contesti nazionali per cui si ha un positivismo francese, inglese, tedesco e italiano.
I due criteri in realtà non sono divergenti ma si fondono tra loro poiché le varie identità nazionali del pensiero positivista costituiscono lo sfondo su cui si sviluppano, nella prima metà dell'Ottocento, la concezione di una scienza come risanatrice dei mali sociali, la quale, nella seconda metà del secolo, dopo la formulazione della teoria dell'evoluzione di Darwin, viene estesa in maniera totalizzante a strumento di interpretazione della storia dell'intera umanità.
Il positivismo ebbe per le sue concezioni più importanti, una dimensione internazionale: la biologia darwiniana, si diffuse in Europa e in America settentrionale, e le nascenti scienze della sociologia, psicologia, antropologia diedero avvio in Occidente a nuovi settori di studio dell'uomo; ma anche per gli aspetti minori e negativi, come la fiducia acritica e superficiale nella scienza, il pensiero positivista ebbe vasta risonanza sino a divenire un fenomeno di costume per la borghesia colta occidentale.
Alla fine del XIX secolo-inizi XX il positivismo, rispondendo all'esigenza rappresentata dalla nuova funzione sociale che si presumeva dovesse essere esercitata dal sapere scientifico s'innestò su tradizioni culturali e filosofiche nazionali profondamente differenti:
Il positivismo con i suoi ideali di progresso e di liberazione tramite il sapere scientifico ebbe influenza anche nel socialismo scientifico. Autori positivisti come Enrico Ferri e Alessandro Groppali, sostennero l'autonomia della scienza dall'etica e dalla filosofia astratta[10].
Per certi aspetti il positivismo appare una originale riproposta del programma illuministico con cui presenta delle affinità quali:
Nello stesso tempo il positivismo si caratterizza per incisive differenze con l'illuminismo:
Nicola Abbagnano ha definito il positivismo "romanticismo della scienza" poiché come i romantici nel loro desiderio del conseguimento dell'infinito davano alla poesia e alla filosofia valori assoluti così i positivisti vedono la stessa assolutezza nella scienza. Essi hanno un concetto della storia non diverso da quello dell'idealismo romantico: la storia è progresso necessario e continuo in cui si vive attuando o manifestando l'umanità nel suo sviluppo progressivo.[16]
Come osserva Nicola Abbagnano: «Nonostante questa profonda incidenza culturale, il positivismo... ha finito per sembrare un nuovo dogmatismo, avente la pretesa di racchiudere l'uomo negli schemi riduttivi della scienza. Anzi, il positivismo... è apparso come una nuova metafisica della scienza... Tutto ciò spiega la massiccia "reazione antipositivistica" che ha caratterizzato la filosofia degli ultimi decenni dell'Ottocento e degli inizi del Novecento.» A questa reazione ha contribuito lo sviluppo stesso delle scienze avvenuto proprio in contrasto con «il quadro gnoseologico ed epistemologico del positivismo»[17]
Nascono così filosofie che hanno in comune una forte opposizione al positivismo rivendicando, soprattutto in Francia con Émile Boutroux, Maurice Blondel, Henri Bergson il carattere spiritualista del pensiero indirizzato a «...riconoscere il primato della coscienza nell'interpretazione della realtà e a concepire la filosofia come auscultazione interiore e ripiegamento dell'anima su se stessa...»[18] e altre correnti di pensiero come il neoidealismo di Samuel Alexander, Alfred North Whitehead, Benedetto Croce, Giovanni Gentile che vogliono riaffermare la storia, «come sfera della libertà e dello spirito, e quindi di ogni valore morale, rispetto a quello della scienza sperimentale, come sfera della necessità e della natura, irresponsabile e perciò scevra di valori.»
Diverse correnti idealistiche hanno apprezzato l'intento antimetafisico e antiastrattistico del positivismo, e hanno voluto presentarsi esse stesse come dotate di una maggiore "positività" nella loro stessa interpretazione del reale: «così, per es., tanto il pragmatismo del James e dello Schiller quanto l'intuizionismo del Bergson e la fenomenologia di Husserl si sono talora definiti come migliore o assoluto positivismo, e lo stesso termine è stato qualche volta usato anche a proposito dell'idealismo italiano contemporaneo (pur così antipositivistico nel suo iniziale atteggiamento polemico) per alludere al suo carattere di piena giustificazione della concreta esperienza.»[19]
Il positivismo influì fortemente nella cultura ottocentesca sino a divenire una "moda culturale" tanto che si può parlare di una "civiltà positivistica" che ha improntato di sé correnti culturali come il realismo, il verismo, la nuova pedagogia incentrata su una scuola "laica" e su una didattica "scientifica".
Nonostante i suoi aspetti critici il positivismo ha lasciato in eredità alla cultura moderna la considerazione dell'importanza per la conoscenza e per la trasformazione della società della ricerca scientifica. Dobbiamo inoltre al positivismo la codificazione delle "scienze umane" della sociologia e della psicologia.
Il positivismo ha demolito la filosofia intesa come forma di conoscenza metafisica che man a mano che si realizza il progresso scientifico, non potendosi basare su i fatti concreti, perde ogni capacità di indagare e risolvere i problemi filosofici. Il positivismo ne indicò un nuovo ruolo consistente non più nella presunzione di conoscere i fenomeni naturali, umani e sociali ma quello di definizione e unificazione dei principi generali del metodo scientifico e dei risultati delle singole scienze in una visione generale dell'uomo.[20] Dal positivismo la filosofia è stata obbligata a riconsiderare criticamente se stessa e a meglio definire il suo rapporto con le scienze.
Dal positivismo si origina inoltre nel Novecento il fondamento del neopositivismo che ha elaborato un metodo di ricerca che soddisfi il rigore proprio della scienza eliminando equivoci e incomprensioni derivate dall'uso distorto del linguaggio.
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