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La lista delle pietre d'inciampo nella provincia di Brescia contiene l'elenco delle pietre d'inciampo poste nella provincia di Brescia. Esse commemorano il destino delle vittime della Shoah e di altre vittime dei nazisti. Le pietre d'inciampo (in tedesco Stolpersteine) sono una iniziativa dell'artista tedesco Gunter Demnig che ha già posato più di 71.000 pietre in tutta Europa.
La prima pietra venne collocata a Brescia il 23 novembre 2012 e fu dedicata a Roberto Carrara; le collocazioni complessive a Brescia e provincia, al 27 gennaio 2020, risultano cinquantaquattro.[1]
Le tabelle sono parzialmente ordinabili; l'ordinamento avviene in ordine alfabetico seguendo il nome.
Pietra d'inciampo | Cenni biografici | |||
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Data di posa | Luogo di posa | Stolpersteine | Incisione | |
12 gennaio 2015 | Via Cavour, 17 45°37′18.74″N 9°57′33.97″E | QUI ABITAVA ATTILIO EMILIO MENA NATO 1911 INTERNATO MILITARE DEPORTATO DA PESCHIERA 20.9.1943 MORTO 22.5.1945 DACHAU |
Adro, 30 novembre 1911 - Dachau, 22 maggio 1945), carpentiere, figlio di Giovanni e Marietta Tedeschi, famiglia contadina. Arruolato nel 1940 nella sanità del 78º Reggimento fanteria "Lupi di Toscana", inviato in Albania, prende parte alla campagna italiana di Grecia. Nel novembre del 1942 è inviato nella Francia meridionale. Secondo una ricostruzione biografica, qui è arrestato per un reato comune, condannato dal Tribunale militare di guerra della IV° Armata, trasferito nel carcere militare di Torino, e dal 2 febbraio del 1943 in quello di Gaeta e in seguito rinchiuso nella Fortezza di Peschiera del Garda. Altra ricostruzione fa risalire il suo arresto al rifiuto, successivamente all'armistizio dell'8 settembre 1943, di arruolarsi con i nazifascisti. Concordi le versioni che lo vedono deportato, il 20 settembre 1943, nel Reich destinato a campo di concentramento di Dachau, matricola 54421, classificato "Schutzhäftling" (Schutz)- deportato per motivi di sicurezza- e impiegato al lavoro coatto. È ancora vivo alla liberazione del campo, 29 aprile 1945, ma il grave suo stato di prostrazione fisica, nonostante le cure dell'ospedale americano nel campo, ne provoca la morte il 22 maggio 1945.[2][3] Attilio Emilio Mena ( |
Durante la collocazione del 2019 a Brescia, i partecipanti tenevano uno stendardo con la scritta: Non c'è futuro senza memoria.
Immagine | Scritta | Indirizzo | Biografia |
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QUI ABITAVA GIULIO ANGELI NATO 1891 ARRESTATO COME POLITICO 17.7.1944 DEPORTATO DACHAU ASSASSINATO 8.2.1945 |
Via XX Settembre, 22 | Giulio Angeli nacque a Muccia nelle Marche il 16 settembre del 1891. Suoi genitori erano Giuseppe Angeli e Marianna Carducci. Durante la prima guerra mondiale si arruolò come ufficiale volontario nel Corpo dei Bersaglieri. Divenne tenente del 12º reggimento. Il 17 agosto del 1917 venne sottoposto a un processo al Tribunale Speciale di guerra. Dal 1920 al 1926 visse come emigrante in Francia. Si sposò con Ernesta Samueli e la coppia aveva una figlia, Liliana. A Marsiglia si iscrisse al Partito Nazionale Fascista, ma il consolato denunciava suoi contatti con la Concentrazione Antifascista e con i socialisti. Nel 1926 l’accusa decadde per inesistenza di reato. Tornava in Italia e si stabilisce a Genova. Nel 1938 si trasferisce a Brescia. Fu sottoposto a vigilanza nel 1941. Sosteneva i partigiani organizzando l’espatrio di ex prigionieri alleati e di militari disertori. La sera del 28 novembre 1943 venne arrestato. Fu detenuto per quattro giorni nella Questura di Brescia e poi per più di sette mesi nel carcere di Brescia. Per ordine del Tribunale Speciale fu trasferito nel campo di transito di Bolzano. Il 5 ottobre 1944 fu deportato in Germania con un convoglio che fu separato in due tronconi, l’uno diretto al campo di concentramento di Dachau (con 500 deportati) e l’altro al campo di concentramento di Flossenbürg (con circa 110). Giulio Angeli si trovava sul primo, giunse al campo il 9 ottobre 1944 e fu classificato nella categoria Schutzhäftling (custodia protettiva, un termine eufemistico per prigionieri politici). Rimase a Dachau per quattro mesi, durante i quali ebbe una corrispondenza con suo nipote Giampiero Angeli. Informazioni ritrovate parlino di una morte per asfissia pero il decesso possa essere avvenuto anche per altre cause: fame, malattia o fucilazione. Giulio Angeli morì l’8 febbraio 1945, all’età di 53 anni.[4] | |
QUI ABITAVA MARIO BALLERIO NATO 1918 INTERNATO MILITARE ARRESTATO 8.9.1943 ASSASSINATO 15.4.1944 PRZEMYSL |
Viale Venezia 45 | Mario Ballerio (1918-1944) nacque l’8 luglio 1918 a Redona (Bergamo). Si iscrisse al Politecnico di Milano, dove nel 1941 conseguì la laurea in ingegneria. Venne quindi assunto presso le Industrie Tessili bresciane, società di cui il padre Giuseppe era consigliere delegato. Nello stesso periodo si iscrisse alla facoltà di Scienze Politiche ed Economiche dell’Università Cattolica di Milano, corso di laurea che frequentò saltuariamente perché richiamato alle armi dal dicembre 1941. L’11 marzo 1943 divenne tenente di complemento nel 7º Reggimento di artiglieria della Divisione Pisa. Dopo l’8 settembre 1943 fu arrestato a Lipsia, dove si trovava per seguire un corso di perfezionamento per ufficiali italiani e fu internato nel lager 327N di Przemysl in Polonia e poi nel sottocampo di Pikulice, dove restò poco più di tre mesi. Le difficili condizioni di vita, caratterizzate da una scarsa alimentazione, dal freddo e dalla fame, in quanto, come altri internati militari, aveva rifiutato di aderire alla Repubblica sociale italiana, indebolirono la sua fibra. Gravemente ammalato di tubercolosi, nella prima decade del gennaio 1944 fu ricoverato presso l’ospedale civile di Przemysl, dove, senza ricevere le cure e il vitto necessari, morì il 15 aprile 1944. Fu sepolto nel cimitero comunale di Przemysl. Nel 1957 la salma fu esumata per essere tumulata nel cimitero militare italiano di Bieleny nei pressi di Varsavia. Solo nel 1993 i parenti conobbero il luogo della sua sepoltura.[5] | |
QUI ABITAVA ROBERTO CARRARA NATO 1915 ARRESTATO COME POLITICO 30.9.1944 DEPORTATO MAUTHAUSEN ASSASSINATO 11.12.1944 |
Contrada del Carmine 39 | Roberto Carrara (1915-1944) nato a Verona il 20 novembre 1915, si trasferì a Brescia. Qui lavorò come falegname e sposò Vittoria Pertica, da cui ebbe tre figli. Richiamato alle armi nel luglio del 1940 fu arruolato nel 77º Reggimento di Fanteria. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1944, come molti altri militari, Carrara ritornò a Brescia. Qui, con Domenico Pertica, si unì a un nucleo di ribelli che si era formato nella zona del monte Guglielmo. Dopo il rastrellamento a Croce di Marone e alla Colma di Zone, condotto dai tedeschi e dai fascisti il 9 novembre 1943 e che portò alla dispersione dei gruppi partigiani in quelle località, Carrara ritornò a Brescia. Denunciato insieme con il cognato da una spia, fu arrestato il 30 settembre del 1944 e trasferito nel lager di Bolzano. Il 14 dicembre 1944 fu deportato nel campo di Mauthausen, dove morì il 25 aprile 1945.[6] | |
QUI ABITAVA ANGELO COTTINELLI NATO 1909 INTERNATO MILITARE ARRESTATO 8.9.1943 ASSASSINATO 25.6.1944 NEUMARKT |
Via delle Battaglie 16 | Angelo Cottinelli (1909-1944) trentaquattrenne, esonerato nel 1929 dal servizio militare per problemi fisici (alle gambe e ai polmoni) era già un “anziano” che viveva il periodo bellico in famiglia, con qualche saltuario lavoro di impiegato e come collaboratore nella modesta azienda agricola di Padenghe sul Garda, dove la famiglia era sfollata. Qualche ricordo orale rievoca un uomo solitario, taciturno, forse complessato per la sua altissima statura non sorretta da grande salute e adeguata forza fisica. Era appassionato collezionista di francobolli, di cui insiste a parlare anche nelle lettere dal campo di concentramento, quando ricorda alla amatissima sorella Angela Maria di acquistargli le nuove emissioni filateliche. Viene prelevato nella tarda primavera del 1943 dall’esercito italiano, che annulla il precedente esonero, e viene portato in caserma a Piacenza. Quasi subito fu ricoverato in ospedale, con diagnosi di pleurite secca, deperimento organico e nervoso e nonostante ciò fu dichiarato temporaneamente idoneo. Questa decisione precede l’arresto da parte dei nazifascisti dopo l’8 settembre 1943. Il 30 settembre è già in viaggio per la Germania. Nulla è stato possibile sapere sull’accaduto ma si suppone che nel caso in cui sia stato interpellato sull’opzione alla Repubblica di Salò, come accadeva di regola, egli abbia deciso di rifiutare. Angelo Cottinelli non è una figura di rilievo né per la guerra né per la Resistenza. È un uomo comune, anzi, men che comune: debole, invisibile, dimenticato. Ma è stato assassinato in modo atroce e futile dal nazifascismo, senza nemmeno essere un nemico, un oppositore.[7] | |
QUI ABITAVA ALBERTO DALLA VOLTA NATO 1922 ARRESTATO 1.12.1943 DEPORTATO AUSCHWITZ ASSASSINATO IN LUOGO IGNOTO DOPO 18.1.1945 |
Piazza della Vittoria 11 | Alberto Dalla Volta (1922-1945) nacque il 21 dicembre 1922 a Mantova. Era il figlio di Guido Dalla Volta (vedi sotto) e Emma Viterbi, aveva una sorella. Arrestato il 3 dicembre 1943 insieme con il padre perché di origine ebrea, furono trasferiti al Fossoli, il 22 febbraio 1944 vennero deportati ad Auschwitz. Legato da un profondo rapporto di amicizia con Primo Levi viene descritto nel suo romanzo Se questo è un uomo: "Alberto è entrato nel Lager a testa alta, e vive in Lager illeso e incorrotto. Ha capito prima di tutti che questa vita è guerra; non si è concesso indulgenze, non ha perso tempo a recriminare e a commiserare sé e gli altri, ma fin dal primo giorno è sceso in campo." Muore il padre nel novembre 1944. Muore anch'egli nel gennaio 1945 in località sconosciuta durante una delle marce della morte dopo l'evacuazione del campo di concentramento di Auschwitz.[8][9] | |
QUI ABITAVA GUIDO DALLA VOLTA NATO 1894 ARRESTATO 1.12.1943 DEPORTATO AUSCHWITZ ASSASSINATO 15.11.1944 |
Piazza della Vittoria 11 | Guido Dalla Volta nacque il 19 luglio 1894 a Mantova. Era il figlio di Adolfo Dalla Volta e Virginia Medici. Si sposava con Emma Viterbi. La coppia aveva un figlio, Alberto (nato 1922, vedi sopra). Fu arrestato il 3 dicembre 1943 insieme con il figlio perché di origine ebrea. Furono detenuti nel carcere di Brescia e poi trasferiti al campo di transito di Fossoli. Da lì venivano deportati il 22 febbraio 1944 al campo di concentramento di Auschwitz. Suo numero di matricola era 174487. Venne ucciso il 15 novembre 1944.[10]
Il figlio morì durante una delle marce della morte nel gennaio 1945. | |
QUI ABITAVA EMILIO FALCONI NATO 1911 INTERNATO MILITARE ARRESTATO 8.9.1943 20.9.1943 ASSASSINATO 8.3.1945 FORBACH CAMPO N 2026 |
Via G. Bonomelli 62 | Emilio Falconi (1911-1945) nacque a Brescia il 3 agosto 1911 da Vittorio e Maria Orlandini. Rimasto orfano di padre in giovane età, frequentò il biennio dell’Istituto superiore industriale, svolgendo poi la professione di impiegato. Durante la campagna d’Etiopia fu richiamato alle armi (26 settembre 1935), assegnato al 77º Reggimento Fanteria “Lupi di Toscana”, ma gli fu concessa una licenza straordinaria in attesa del congedo illimitato ottenuto il 1º luglio 1936. Una tappa importante della sua vita fu il matrimonio con Maria Ventura celebrato nel 1939. Il 25 luglio 1940 nacque il primo figlio Vittorio, ma soltanto pochi mesi dopo la tranquilla vita familiare fu interrotta dal richiamo alle armi. Assegnato nuovamente al 77º Reggimento Fanteria, fu inviato dal distretto militare di Brescia al porto di Brindisi, dove si imbarcò sul piroscafo “Piemonte” diretto a Cria Nova, porto di Valona. Una cartolina e altre fotografie lo attestano in Francia nel 1943, dove lo coglie l’8 settembre; catturato dai tedeschi, fu deportato in Germania nel lager per sottufficiali e soldati di Forbach. Della sua vita di internato militare ci rimane la corrispondenza con la famiglia che, nonostante la stretta censura, rivela le dure condizioni quotidiane, aggravate dalla lontananza dai suoi cari. Emilio Falconi morì l’8 marzo 1945, schiacciato da una gru mentre lavorava nel lager di Forbach. È sepolto nel Cimitero militare italiano di Francoforte (riga F, fila 3, tomba n. 23).[11] | |
QUI ABITAVA SEVERINO FRATUS NATO 1891 ARRESTATO COME POLITICO 2.3.1944 DEPORTATO MAUTHAUSEN ASSASSINATO 8.4.1945 |
Via Fratelli Ugoni 6 | Severino Fratus (1891-1945) nato il 7 agosto 1891 a Brescia, padre di tre figli (Battista, Giulio e Severina), si trasferisce a Sesto San Giovanni, dove lavora come meccanico attrezzista nel settore siderurgico, sezione IV della fabbrica Società Italiana Ernesto Breda per Costruzioni Meccaniche. In quanto appartenente ad una formazione partigiana (108ª Brigata Garibaldi), viene arrestato in casa la notte del 28 marzo 1944 a Sesto San Giovanni dalle Sicherheitsdienst (servizio di sicurezza delle SS). L’atto viene giustificato dai nazisti con il pretesto di un arresto preventivo al fine di offrire, attraverso la detenzione nel campo, protezione dalle possibili rivolte politiche e lavorative. Trasferito dal carcere di Bergamo il 4 aprile, giunge al campo di concentramento di Mauthausen l’8 aprile, immatricolato con il numero 61643 e successivamente decentrato a Gusen (sottocampo di Mauthausen), il lager destinato agli oppositori politici “irrecuperabili”. Dopo trecentosessantacinque giorni di sopravvivenza all’interno del campo, muore l’8 aprile 1945, all’età di 53 anni. Dai documenti stilati dai nazisti, la causa della morte di Fratus sembra essere una bronco-polmonite; è attualmente sepolto nel cimitero internazionale di Mauthausen.[12] | |
QUI ABITAVA ALESSANDRO GENTILINI NATO 1916 ARRESTATO 6.6.1944 COME POLITICO DEPORTATO MAUTHAUSEN GUSEN ASSASSINATO 17.4.1945 |
Contrada del Carmine 16 | Io, Alessandro Gentilini (1916-1944), nato il 26.8.1916 a Lonato (Brescia), non sono solo un numero, l’115530, come mi hanno chiamato a Mauthausen, per “ motivi precauzionali”; sono un uomo che la Storia non può e non deve dimenticare. Le mie fattezze, purtroppo possono essere ricavate solo dalla Häftling-personal-karte, mi definiscono alto m.1.75, di media corporatura. Nel mio viso ovale, spiccano occhi marroni, un naso dritto, bocca e orecchie normali. Probabilmente sono stato sottoposto ad una visita accurata, tanto è vero che i miei denti sono stati definiti buoni. Ho avuto due figli: Liliana e Odoardo. Quando sono stato deportato, Liliana aveva tre anni e Odoardo soltanto due. Oggi, di me, mio figlio ha soltanto un ritratto, infatti io non sono più tornato a casa da quel 6.6.1944, quando sono stato arrestato, in quanto partigiano. Quel giorno era il compleanno di mia moglie ed ero uscito a comprare i casoncelli per festeggiare, ma sono stato catturato. Sono stato deportato, attraverso la polizia di sicurezza di Verona, controllata da Eichmann e lascio a voi immaginare le barbarie nel campo di Gusen, in cui mi trovavo. Sul mio documento, invece, chiunque può leggervi: ”punizioni nel campo”, con la “motivazione, il tipo, e varie annotazioni” lasciate in bianco. L’elevato tasso di mortalità dei prigionieri presenti nel campo lascia intravedere le durissime condizioni di vita e di lavoro dei deportati. Infatti ho trascorso un breve periodo in ospedale e, dato che i miei figli hanno avuto la pensione come orfani di guerra, si può ipotizzare che i miei giorni siano finiti in una camera a gas. Non solo ricordate il nome del “fabbro” Alessandro Gentilini, ma quello di tutti coloro che spesso la Storia ufficiale dimentica.[13] | |
QUI ABITAVA ORESTE GHIDELLI NATO 1913 ARRESTATO COME POLITICO 17.7.1944 DEPORTATO FLOSSENBÜRG ZWICKAU ASSASSINATO 1.4.1945 |
Via Corsica, 88 | Oreste Ghidelli, figlio di Giacomo e Viglioli Teresa, nacque a Brescia il 27 maggio 1913. Fu arrestato come “politico” e venne rinchiuso nel carcere di San Vittore a Milano. Il 17 gennaio 1945 fu trasferito al campo di transito di Bolzano. Durante una sosta del treno a Bardolino (VR), riusciva a gettare un biglietto per suoi famigliari. La lettera è stata spedita ed è stata conservata. Da Bolzano, due giorni dopo, venne deportato con un treno merci al campo di concentramento di Flossenbürg nell'Alto Palatinato. Era uno di 359 prigionieri trasferiti per fare lavori forzati nel settore degli armamenti. La deportazione durava quattro giorni e già durante il viaggio una decina di prigionieri morì. All’arrivo dovette subire la procedura standard prevista per ogni deportato. Ebbe il numero di matricola 43652 e il triangolo rosso con la «I» nera. Così era facile identificarlo come prigioniero politico italiano. Il 21 febbraio 1945, dopo la cosiddetta «quarantena», fu trasferito al sottocampo di Zwickau. Quando, a fine marzo, le truppe alleate avanzavano, i tedeschi evacuavano il lager. I prigionieri furono avviati verso il confine cecoslovacco. Secondo una testimonianza di Armando Corsi, il primo di aprile, durante questa marcia della morte, Oreste Ghidelli venne ucciso con una raffica di mitra.[14]
Nel gennaio 2018 la famiglia ottiene la medaglia d’onore a nome di Oreste Ghidelli. | |
QUI ABITAVA UBALDO MIGLIORATI NATO 1923 ARRESTATO 27.2.1945 COME POLITICO DEPORTATO BUCHENWALD ASSASSINATO 12.3.1945 |
Vicolo dell’Inganno 1 | Ubaldo Migliorati (1923-1945) nasce il 17 luglio 1923 a Pavone Mella, comune nella bassa pianura bresciana a vocazione agricola. Nel 1943 è studente del terzo anno Magistrali Superiori, quando viene chiamato alle armi il 14 gennaio, dopo il congedo illimitato provvisorio del 21 maggio 1942. Il 16 gennaio 1943 entra a far parte del Dep. 33º Regg. fanteria e giunge in territorio di guerra, prima come fante scelto, poi come caporale (24.04.1943). Viene poi trasferito nel III Regg. Fanteria. Disp. S.M.R.E. il 16 aprile 1943. Inviato in breve licenza per esami in data 8 giugno, è nominato caporalmaggiore il 15 luglio. Dopo l’8 settembre risulta “sbandato”. Chiamato a far parte dell’esercito della R.S.I. non si presenta. All’anagrafe del Comune di Brescia risulta celibe e trasferito da Pavone Mella in città il 18 luglio 1943. Non si hanno finora informazioni precise sul periodo tra settembre 1943 e agosto 1944. Probabilmente entra in clandestinità. Il 9 agosto 1944 è catturato dai tedeschi e fatto prigioniero come detenuto politico. In base alle indicazioni di una lettera datata 7 settembre 1950 di una parente residente ad Hannover, pare che Ubaldo Migliorati sia passato prima da Torgau, campo di prigionia nel distretto militare di Dresda, e poi da Wildflecken/Rhon da dove è arrivata la sua ultima lettera, datata novembre 1944. La sua destinazione finale è il campo di concentramento di Buchenwald in Turingia, nei pressi di Weimar. Il documento di ingresso al campo di Buchenwald riporta la data del 27 febbraio 1945 e indica data e luogo di nascita, caratteristiche fisiche, stato anagrafico, nome del padre e indirizzo e, come motivo della prigionia, “polit. Italiener” con il numero 133.818 Block 63. Il simbolo che gli viene assegnato è il triangolo rosso con la lettera “I”. A Buchenwald muore il 12 marzo 1945, ufficialmente per polmonite, un mese prima della liberazione del campo.[15] | |
QUI ABITAVA GUSTAVO MORELLI NATO 1893 ARRESTATO COME POLITICO DEPORTATO DACHAU MAJDANEK ASSASSINATO 19.2.1944 |
Via Don Giacomo Vender, 59 | Gustavo Morelli nacque a Brescia il 18 aprile 1893. Suoi genitori erano Angelo Morelli e Angela Sguassi. Aveva due fratelli e una sorella. Rimase orfano in giovane età e venne affidato a un tutore, che si occupò della sua educazione. Venne mandato in un collegio in Franciacorta. Lì incontrava Severina Omodei, la sua futura moglie. La vcoppia aveva tre figli. Venne chiamato alle armi durante la prima guerra mondiale, ma non si presentò. Fu arrestato e incarcerato. Il 14 gennaio 1916 venne chiamato un'altra volta alle armi e fu arruolato in fanteria. Disertò il 6 giugno 1916, fu arrestato di nuovo e condannato a 3 anni di reclusione. Disertò altre due volte e fu finalmente condannato a 10 anni di reclusione a Verona. Grazie all’amnistia alla fine della guerra, poteva tornare in casa. Nel 1931 il quartiere dove abitava venne sgombrato per la nuova Piazza della Vittoria. La famiglia doveva spostarsi e viene di abitare in una zona chiamta a bùsa degli sbandi. Durante il periodo fascista, la sua ribellione si esprimeva soltanto attraverso piccoli gesti, per non mettere in pericolo la sua famiglia. Tuttavia, fu strapato dai suoi ed arrestato. Fu trasferito da un carcere all'altro. Il 13 ottobre 1943 fu deportato nel campo di concentramento di Dachau. I tedeschi lo registrarono nella categoria Schutzhäftling, custodia protettiva. Dopo tre mesi, l’11 gennaio del 1944, fu trasferito al campo di sterminio di Majdanek. Lì fu assassinato il 19 febbraio 1944.[16] [...] | |
QUI ABITAVA DOMENICO PERTICA NATO 1923 ARRESTATO COME POLITICO 30.9.1944 DEPORTATO GUSEN ASSASSINATO 21.4.1945 |
Contrada del Carmine 39 | Domenico Pertica (1923-1945) nacque il 6 gennaio 1923 a Brescia. Lavorava come operaio, quando, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, decise di aggregarsi, insieme al cognato Roberto Carrara, ai gruppi di soldati renitenti alla leva, salendo in montagna nella zona del monte Guglielmo. La loro presenza in montagna destò preoccupazioni nelle truppe di occupazione tedesche e nei fascisti. Il 9 novembre 1943 fu organizzato un rastrellamento tedesco nella zona di Croce di Marone. I numerosi ribelli insieme agli ex prigionieri di guerra fuggiti dai campi di concentramento furono attaccati e dispersi. Sette tra ribelli ed ex prigionieri alleati furono uccisi nello scontro e i gruppi del Guglielmo furono dispersi. Così Domenico Pertica, insieme al cognato, ritornò in città, nella sua casa di Contrada del Carmine. Il 30 settembre 1944 fu arrestato e trasferito nel lager di Bolzano, da dove, alla metà di dicembre del 1944, fu deportato nel lager di Mauthausen. Domenico Pertica morì il 21 aprile 1945 nel sottocampo di Gusen.[17] | |
QUI ABITAVA ROLANDO PETRINI NATO 1921 ARRESTATO COME POLITICO DEPORTATO MAUTHAUSEN GUSEN ASSASSINATO 21.1.1945 |
Via Fratelli Lechi/ angolo Largo Torrelunga | Rolando Petrini (1921-1945) nato a Siena il 16 gennaio del 1921, è morto nel campo di lavoro di Mauthausen - Gusen il 21 gennaio del 1945, all’età di 24 anni. Perito tecnico industriale e insegnante all’Istituto “Moretto”, frequentava Ingegneria presso il Politecnico di Milano ed era animatore della sezione bresciana della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana). Dovette interrompere ogni attività civile per arruolarsi: frequentò il corso Allievi Ufficiali di Artiglieria a Bra (Cuneo) per essere poi assegnato, col grado di sottotenente istruttore, alla Scuola di Artiglieria contraerea presso la caserma “Bella Di Cocco” di Milano. Dopo l’armistizio ritornò a Brescia e diede una svolta decisiva alla sua vita costituendo e comandando uno dei primi gruppi partigiani stanziato al colle di S. Zeno, tra Pezzaze e Pisogne. Aderì al movimento scoutistico clandestino delle Aquile Randagie e, dopo l’8 settembre 1943, entrò a far parte dell’O.S.C.A.R. (Organizzazione Scoutistica Collegamento Assistenza Ricercati), organizzazione ideata dai responsabili delle Aquile randagie milanesi e impegnata nella falsificazione di documenti, nella diffusione del giornale clandestino “Il Ribelle” e nelle operazioni di espatrio in Svizzera di ex prigionieri, ebrei, antifascisti e perseguitati di ogni fede politica. Il 9 novembre 1943, un centinaio di tedeschi e fascisti condussero l’attacco alla Croce di Marone, sulle pendici del monte Guglielmo: nel corso del rastrellamento Rolando riuscì a portare in salvo il suo gruppo e a riorganizzarlo ad Artogne come distaccamento della brigata Fiamme Verdi “Tito Speri”, movimento di resistenza, apolitico e di orientamento cattolico, in cui era attivissimo il fratello Enzo. Nonostante fosse ricercato dai tedeschi tornò a Milano e si reiscrisse sotto falso nome al Politecnico, dove conobbe Carlo Bianchi e Teresio Olivelli con i quali, insieme al fratello, cominciò a collaborare alla pubblicazione del foglio clandestino “Il Ribelle” e si occupò di tenere i collegamenti delle Fiamme Verdi tra la Val Camonica e il comando regionale lombardo. Dopo la cattura degli amici Olivelli e Bianchi, il 28 aprile 1944 venne arrestato a Milano mentre cercava di portare via materiale di propaganda compromettente dall’appartamento di Olivelli. Rimase alcuni giorni in carcere a San Vittore, il 9 giugno venne poi trasferito al campo di Fossoli, dove rimase fino al 25 luglio. Il 25 luglio fu condotto nel lager di Bolzano. Il 4 agosto venne deportato in Germania. Tentò la fuga ma fu catturato e destinato al campo di lavoro di Gusen I. Il 21 gennaio 1945 Rolando Petrini, malato e malnutrito, morì di stenti, pagando il prezzo più alto per la scelta di essere - riprendendo le parole con cui padre Carlo Manziana amava ricordare “i molti eroi della fede e della libertà” - “combattente senz’odio” e “ribelle per amore”.[18] | |
QUI ABITAVA PIETRO PIASTRA NATO 1891 ARRESTATO 19.10.1944 COME POLITICO DEPORTATO MAUTHAUSEN ASSASSINATO 10.4.1945 |
Via Nicola Tartaglia 47 | Pietro Piastra (1891-1945) è uno dei circa 300 (le fonti ne indicano da 302 a 320) deportati siciliani di cui si conosce l’identità, ma si stima che almeno altri 500 siano rimasti senza nome. Nasce a Palermo il 31 gennaio 1891 (fonte Aned, ma altre fonti, tra cui l’anagrafe di Palermo, indicano il 30 gennaio dello stesso anno) e si trasferisce a Brescia, non sappiamo in che anno, ma probabilmente per svolgere il suo lavoro di commerciante. Convinto antifascista, il 9 settembre del 1943, all’indomani dell’armistizio, Piastra partecipa nella casa di Piero Gerola a Collio, al primo degli incontri da cui nascerà la Brigata Fiamme Verdi “Ermanno Margheriti”, costituita prevalentemente da giovani studenti, che opererà nell’alta Valtrompia. Poche settimane più tardi, alla fine di ottobre dello stesso anno, è presente anche alla riunione che si svolge alla malga Frondine, situata all’incontro tra la Valsabbia e la Valtrompia, tra i partigiani più rappresentativi delle due valli. Individuato e ricercato dai nazifascisti per la sua attività di opposizione al regime, Piastra fugge a Collio, dove però viene catturato dalle Brigate nere il 16 ottobre 1944 e tradotto nel carcere di Brescia dove è sottoposto a pesanti torture. Da Brescia, il 20 novembre 1944 viene deportato nel campo di concentramento di Bolzano e poi, il 19 dicembre 1944, trasferito in quello di Mauthausen con il numero di matricola 114153. Classificato nella categoria Schutz, cioè schutzhäftlinge, che indica i prigionieri arrestati perché ritenuti una minaccia per la sicurezza dello Stato, Pietro Piastra muore a Mauthausen il 10 aprile 1945 (fonte di Bad Arolsen, altre fonti tra cui l’ANPI di Palermo e l’ANED indicano il 5), probabilmente in seguito allo sterminio a cui le SS sottopongono in quei giorni tutti i prigionieri ancora vivi nel lager, su ordine di Himmler. Il campo di Mauthausen sarà liberato un mese dopo, il 5 maggio dello stesso anno, dalla 3ª Armata americana.[19] | |
QUI ABITAVA FEDERICO RINALDINI NATO 1923 ARRESTATO 19.8.1944 COME POLITICO DEPORTATO MAUTHAUSEN ASSASSINATO 27.3.1945 |
Vicolo delle Dimesse 2 | Federico Rinaldini (1923-1945) nacque a Brescia il 29 settembre 1923. Suo padre Angelo gestiva un negozio di abbigliamento, mentre la madre Linda Lonati era dedita alla casa e ai figli. Federico era perito tecnico. La famiglia era molto unita e contraddistinta da forti convinzioni cattoliche e civili. Durante l’adolescenza frequentò con i fratelli Luigi ed Emiliano l’Oratorio della Pace e, dopo essersi diplomato, lavorò presso un’azienda cittadina. Federico iniziò a simpatizzare per il nascente movimento della Resistenza bresciana già dalla fine del settembre 1943, anno in cui il fratello Emiliano entrò nella “Guardia civica” di Astolfo Lunardi. Nell’aprile 1944 a Federico venne affidato il compito di “staffetta” tra Brescia e la Brigata Perlasca, il 19 agosto venne arrestato, incarcerato a Canton Mombello, in regime di particolare sorveglianza. Il 20 novembre fu consegnato alla Sipo di Verona, la polizia di sicurezza in forza in Lombardia dopo il 1943, che lo trasferì nel Lager di Bolzano. Da Bolzano fu deportato nel Lager di Mauthausen, e poi nel sottocampo di Gusen. Qui morì il 27 marzo del 1945, sussurrando parole di estrema bontà. La famiglia Rinaldini fu molto attiva nella resistenza e pagò duramente questo suo impegno: il fratello Emiliano, catturato in Valsabbia nel febbraio 1945 dai militi della Guardia nazionale repubblicana, fu fucilato dopo un lungo interrogatorio, la sorella Giacomina fu deportata in Germania e tornò a Brescia solo a guerra finita. Padre Luigi ottenne dal vescovo Giacinto Tredici lo speciale mandato di assistente spirituale delle formazioni partigiane. Rispetto ai fratelli e alla sorella, Federico sembra quasi passare in secondo piano.[20] | |
QUI ABITAVA SILVESTRO ROMANI NATO 1923 ARRESTATO 18.11.1943 COME POLITICO DEPORTATO MAUTHAUSEN ASSASSINATO 17.3.1945 |
Via Pila 37 | Silvestro Romani (1923-1945) nasce a Vicenza il 14.9.1923 dal padre Giuseppe e dalla madre Osanna Salamon, casalinga. Motivi di lavoro spinsero il padre Giuseppe, di professione bottaio, a trasferirsi con la famiglia nell’agosto del 1926 a Brescia. Terzo di cinque figli, Silvestro frequenta le scuole elementari fino alla classe IV, poi abbandona gli studi e lo ritroviamo qualche anno dopo, insieme al fratello gemello Stefano, come “muratore elementare”, ovvero come manovale. Ma la famiglia Romani ben presto verrà travolta degli eventi della storia, dando il suo contributo alla resistenza bresciana e pagando un grosso tributo in vite umane alle insensatezze e scelleratezze della guerra. Giuseppina (1916-1994), primogenita della famiglia Romani diventerà la moglie del partigiano bresciano Luigi Guitti, meglio noto con il nome di battaglia di “Tito Tobegia”; mentre il secondogenito, Giocondo, risulterà disperso sul fronte russo nel 1943. La famiglia Romani si era contraddistinta da sempre per un certo impegno politico, aderendo al Partito comunista italiano, che in quegli anni operava in clandestinità e all’annuncio dell’armistizio, dopo l’8 settembre, Silvestro e Stefano, allora ventenni decidono entrambi di aggregarsi alle forze partigiane, che operavano nelle montagne bresciane. Durante un rastrellamento fascista, i due fratelli si dividono e il 18 novembre 1943, dopo alcuni mesi dalla sua aggregazione alla resistenza bresciana, Silvestro viene catturato sui Piani di Vaghezza, mentre Stefano riuscirà a sfuggire alla cattura e a continuare la sua lotta partigiana fino alla fine della guerra. Silvestro viene condotto a Verona e tenuto in stato di schutzhaft, “fermo precauzionale”, una denominazione che indicava gli oppositori politici; in realtà era accusato di essere disertore, per non essersi unito all’esercito della Repubblica sociale di Salò che andava costituendosi in quei mesi. Dopo gli interrogatori di rito, il 21 gennaio del 1944 viene trasferito nel Lager di Bolzano, dove resterà circa un anno, prima di essere trasferito definitivamente, tramite la polizia di sicurezza di Verona, nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arriverà l’11 gennaio del 1945. Qui viene registrato con il numero di matricola 115702 e un mese dopo, il 16 febbraio del 1945, mandato nel campo di comando di Gusen, uno dei sottocampi di Mauthausen, che si distingueva sia per quantità di deportati che per durezza delle condizioni di prigionia e di lavoro. In questo campo il lavoro costituì uno dei mezzi di eliminazione dei prigionieri, che venivano sottoposti a bagni di acqua gelida, annegamenti anche di massa, iniezione al cuore e torture di ogni genere. Qui, nonostante le apparenti buone condizioni fisiche al suo arrivo, come si evince dalla scheda personale del prigioniero, il 17 marzo del 1945 alle ore 04:30 del mattino, a un mese esatto dal suo arrivo al campo, Silvestro muore, come recita il referto, per “debolezza del muscolo del cuore, polmonite”. Non aveva ancora 22 anni e inutili furono i tentativi del padre, recatosi di persona a Mauthausen, dopo la fine della guerra, di ritrovare le spoglie del figlio.[21] | |
QUI ABITAVA ANDREA TREBESCHI NATO 1897 ARRESTATO COME POLITICO 6.1.1944 DEPORTATO DACHAU MAUTHAUSEN GUSEN ASSASSINATO 24.1.1945 |
Via delle Battaglie 50 | Andrea Trebeschi nacque a Brescia il 3 settembre 1887 da famiglia cattolica, il nonno aveva combattuto nelle Guerre d'indipendenza. Arruolato nella prima guerra mondiale dopo il congedo divenne presidente dell'associazione studentesca Manzoni fondando il periodico studentesco La Fionda. Nel 1922 sposò Vittoria De Toni, ebbero 4 figli: Maria, Cesare, Giovanni ed Elvira. Nel 1923 divenne presidente della Gioventù cattolica bresciana, completò gli studi in giurisprudenza a Siena ed entrò nel Partito Popolare Italiano, fu un importante riferimento per i cattolici antifascisti bresciani, Membro delle Fiamme Verdi, arrestato 14 dicembre 1943, venne rilasciato ma fu nuovamente arrestato, sostenne diversi interrogatori nel carcere di Canton Mombello e al Forte San Mattia a Verona, il 29 febbraio venne trasferito dapprima a Dachau, poi a Mauthausen, morì a Gusen il 24 gennaio 1945.[22] |
Pietra d'inciampo | Cenni biografici | |||
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Data di posa | Luogo di posa | Stolpersteine | Incisione | |
27 gennaio 2019 | Via Ugo de Zinis Mocasina, Località Basse 45°32′22.16″N 10°26′29.03″E | QUI ABITAVA ASSALONNE NATAN NATA 1891 ARRESTATAO 12.12.1943 DEPORTATO AUSCHWITZ ASSASSINATO |
Istambul, 11 giugno 1891 - Auschwitz, ???), figlio di Abramo e Malvine Jacar, fratello di Raoul Elia Nathan è arrestato a Bedizzole, insiemem al fratello, il 12 dicembre 1944. Entrambi incarcerati a Brescia, trasferiti poi a Fossoli, sono entrambi deportati nel Reich con destinazione Auschwitz, giungendovi il 26 febbraio 1944. Di Assalone non è nota la data e circostanza della morte.[23][24] Assalonne Nathan ( | |
QUI ABITAVA RAOUL ELIA NATAN NATO 1904 ARRESTATO 12.12.1943 DEPORTATO AUSCHWITZ ASSASSINATO 16.5.1944 |
Mons, 10 dicembre 1904 - Auschwitz, 16 maggio 1944), fratello di Assalonne Nathan, coniugato con Rachele Nahoum. Condivide il destino tragico del fratello: arrestato a Bedizzole, il 12 dicembre 1944. Entrambi incarcerati a Brescia, trasferiti poi a Fossoli, sono entrambi deportati nel Reich con destinazione Auschwitz, giungendovi il 26 febbraio 1944, matricola 174535. Muore il 16 maggio 1944.[25][24] Raoul Elia Nathan ( |
Pietra d'inciampo | Cenni biografici | |||
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Data di posa | Luogo di posa | Stolpersteine | Incisione | |
17 gennaio 2020 | Via Fiume, 2 | QUI ABITAVA FRANCESCO VINCENTI NATO 1887 ARRESTATO 11.5.1944 DEPORTATO MAUTHAUSEN ASSASSINATO 31.12.1944 MELK |
Cevo, 1 febbraio 1887 - Melk, 31 dicembre 1944), partigiano, figlio di Vincenzo e Maria Antonia Zonta, tabaccaio, sposa Margherita Biondi nel 1920. Attivo nelle file della 54ª Brigata Garibaldi operativa in Valsaviore già dal novembre 1943, nome di battaglia "Checo". L’11 maggio 1944 è vittima di un rastrellamento nazifascista e trasferito alle carceri di Canton Mombello, quindi Fossoli a cui segue la deportazione nel Reich il 5 giugno 1944, con destinazione Mauthausen, classificato come "Schutzhäftling", deportato politico. Trasferito a Melk, muore il 31 dicembre 1944.[26] Francesco Vincenti ( | |
Via Trento, 8 | QUI ABITAVA INNOCENZO GOZZI NATO 1877 ARRESTATO 10.5.1944 DEPORTATO MAUTHAUSEN ASSASSINATO 15.11.1944 |
Cevo, 1877 - Mauthausen, 15 novembre 1944), mugnaio, padre di sei figli, famiglia di antifascisti. Rastrellato il 10 maggio 1944, dando seguito a precedenti segnalazioni per presunti aiuti e forniture di farina alle formazioni partigiane e precedenti alterchi con i maggiorenti fascisti locali. Carcerato a Brescia, quindi deportato a Mauthausen, matricola 76372, dove muore il 15 novembre 1944.[27] Innocenzo Gozzi ( | ||
Via San Vigilio, 124 | QUI ABITAVA GIOVANNI BATTISTA MATTI NATO 1893 ARRESTATO 9.5.1944 DEPORTATO 1944 MAUTHAUSEN GROSSRAMING, REDEL-ZIPF MORTO 21.5.1944 GUSEN |
Cevo, 17 gennaio 1893 - Gusen, 21 maggio 1945), partigiano, figlio di Domenico e Martina Monella, coniugato con Maria Monella dal dicembre del 1920, due figli. Attivo nella 54ª Brigata Garibaldi operativa in Valsaviore, è catturato il 9 maggio 1944 a Fabrezza nel corso del rastrellamento nazifascista. È trasferito alle carceri di Canton Mombello, quindi Fossoli a cui segue la deportazione nel Reich il 5 giugno 1944, con destinazione Mauthausen, matricola 76441, classificato come "Schutzhäftling", deportato politico. Infine trasferito a luglio a Großraming, quindi, il 25 agosto, ritorno al campo principale. Dal 4 settembre è rinchiuso nel sottocampo di Redl-Zipf (“Schlier “),[28] e dal 26 marzo del 1945 in quello di Gusen, dove muore il 21 maggio 1945.[29] Giovanni Battista Matti ( |
Immagine | Scritta | Indirizzo | Biografia |
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QUI ABITAVA ENRICO BROGNOLI NATO 1923 ARRESTATO COME POLITICO DICEMBRE 1943 DEPORTATO A BUCHENWALD ASSASSINATO 7.4.1945 |
Via Roma, 10 |
Enrico Brognoli nasce a Collebeato il 12 novembre 1923. Era il figlio di Luigi e di Angela Marelli e aveva due fratelli, Guido e Rina. Frequentò la seconda classe dell’istituto magistrale superiore. Era celibe e impiegato. Si presentava al Centro Addestramento della Repubblica Sociale Italiana in Brescia il 22 dicembre 1943 e disertava lo stesso giorno. Venne catturato dai nazifascisti durante un rastrellamento. L'ulteriore percorso deriva dalle sue lettere alla famiglia: l’11 gennaio 1944 a Piacenza nella Caserma Sant’Antonio, il 12 aprile 1944 a Verona e poi a Wildflecken, una località in Baviera. Il suo lavoro di prigioniero era di fabbricare strade tutto il giorno. "Mio unico desiderio è di tornare alla mia cara casetta che immancabilmente sogno ogni notte", scriveva in una lettera. La polizia di Stato di Halle lo arrestò all'11 marzo 1945. Venne deportato nel campo di concentramento di Buchenwald come dissidente politico. Il suo numero di matricola era 135495. Morì a Buchenwald il 7 aprile 1945.[30]
Sandro Pertini, il Presidente della Repubblica, conferiva a Enrico Brognoli all'8 agosto 1984 il Diploma d’onore al combattente per la libertà d’Italia. |
Pietra d'inciampo | Cenni biografici | |||
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Data di posa | Luogo di posa | Stolpersteine | Incisione | |
6 marzo 2022 | Via Anelli, 28 45°28′07.21″N 10°32′34.18″E | QUI ABITAVA DOROTEA GRONICH NATA 1898 ARRESTATA 24.2.1944 DEPORTATA AUSCHWITZ ASSASSINATA |
Merano, 23 aprile 1898 - Auschwitz, ???), figlia di Wolfgang e Antonia Hersches, nubile, apolide, ebrea. Residente a Bolzano, in conseguenza alle leggi razziali fasciste del 1938, è forzatamente inviata, il 27 gennaio 1940, a Desenzano del Garda in regime di “internamento libero”[31]. Nonostante il generoso aiuto ricevuto da alcuni residenti, non sfugge all'arresto, ad opera dei Carabinieri in data 24 febbraio 1944 e con lei Hulda Garfinkel, trasferite entrambi nel carcere di Canton Mombello, quindi Fossoli da dove, il 5 aprile 1944 sono deportate nel Reich destinate ad Auschwitz. Di Dorotea nulla più è dato di sapere.[32] Dorotea Gronich ( | |
Viale Andreis, 4 45°28′10.93″N 10°31′43.79″E | QUI ABITAVA HULDA GARFINKEL NATA 1873 ARRESTATA 24.2.1944 DEPORTATA AUSCHWITZ ASSASSINATA 10.4.1944 |
Auschwitz, 10 aprile 1944), figlia di Markos e Giovanna Hirsch, vedova con due figli. Condivide il destino tragico di Dorotea Gronich: anch'essa forzatamente inviata a Desenzano del Garda il 12 febbraio 1940 in regime di “internamento libero”[31], nonostante il generoso aiuto ricevuto da alcuni residenti, non sfugge all'arresto, operato dei Carabinieri in data 24 febbraio 1944. Entrambe trasferite nel carcere di Canton Mombello, quindi Fossoli da dove, il 5 aprile 1944 sono deportate nel Reich destinate ad Auschwitz. Hulda è assassinata il giorno stesso del suo arrivo al campo: 10 aprile 1944.[32] Hulda Garfinkel (Buchwalde, 5 aprile 1873 - |
Immagine | Scritta | Indirizzo | Biografia |
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QUI ABITAVA ALFREDO RUSSO NATO 1871 ARRESTATO DIC. 1943 DEPORTATO 1944 AUSCHWITZ ASSASSINATO 26.2.1944 |
Gardone Riviera, Vicolo ars 10 45°37′09.36″N 10°33′35.33″E |
Alfredo Russo nacque a Vienna il 25 settembre 1871. I suoi genitori erano Israele Russo e Clara Salom. Era un cantante lirico del teatro, già pensionato, che visse a Merano. Quando il prefetto di Bolzano nel luglio del 1939 comandavo che tutti gli “ebrei stranieri” dovessero lasciare la provincia nell’arco di 48 ore, il Russo fuggì dall’Alto Adige. L'11 settembre del 1939 si era stabilito a Gardone Riviera, prima in corso Zanardelli 24, poi dal 17 aprile 1940 in una stanza in affitto in via Roma 91 (oggi vicolo Ars 10). Allora non poteva sapere che Salò dopo pochi anni sarà la sede centrale di Mussolini. A partire dal giugno dello stesso anno il suo soggiorno era diventato un “internamento libero”. Viene arrestato da italiani nel dicembre 1943, detenuto nel carcere di Salò e successivamente trasportato al prigione di Brescia, il Carcere di Canton Mombello. Nel gennaio del 1944 arrivava una intervenzione di una signora di Merano, Luisa Lerber contessa Saracini, presso il prefetto di Brescia descrivendolo così: "vissuto 40 anni a Merano, membro del Civico Teatro […] considerato cantante di valore […]. La sua pensione gli fu levata e sua moglie, preferendo unirsi a un “ariano” lo lasciò per un ricco prestinaio di Innsbruck. Ha 73 anni, è ammalato di artrite, la prigione lo sfinisce. I suoi dolori sono insopportabili. Ha le mani contratte e non può più aprire le dita." Tuttavia Alfred Russo fu trasferito al Campo di transito di Fossoli. Il 22 febbraio 1944 viene deportato con il convoglio n. 8 al Campo di concentramento di Auschwitz. Alfredo Russo fece parte dello stesso convoglio di Primo Levi e 650 altri ebrei e fu eliminato all’arrivo ad Auschwitz il 26 febbraio 1944.[33][34][35] | |
QUI ABITAVA ARTURO SOLIANI NATO 1912 ARRESTATO 4.2.1944 ROMA DEPORTATO 1944 AUSCHWITZ ASSASSINATO 1945 FLOSSENBÜRG |
Gardone Riviera, Corso Zanardelli 7 | Arturo Soliani (1912-1945) nasce a Lugano da Isacco e Caviglia Italia il 9 luglio 1912. Nel 1938 (anno dell’approvazione e dell’entrata in vigore delle leggi razziali) risulta iscritto all’anagrafe di Gardone Riviera come proveniente da Roma, coniugato con Lina Terracina, entrambi appartenenti alla “razza ebraica”. Dal matrimonio con Lina celebrato a Roma nel 1938 nascono (sempre nella capitale) nel 1939 Sandro e nel 1942 Angelo. Arturo è molto legato al fratello Umberto che nel 1940 sposa Elvira, la sorella di Lina. I due nuclei familiari pur vivendo a Gardone Riviera mantengono dei legami molto forti con la famiglia d’origine delle due sorelle, tanto che la loro vita è scandita da un frequente andirivieni fra Gardone e Roma.
Durante il periodo badogliano, in data imprecisata, Arturo e Lina abbandonano Gardone Riviera per riparare nella capitale, nella convinzione di portarsi in prossimità del fronte e quindi della liberazione (gli alleati erano sbarcati in Sicilia il 19 luglio e a Salerno il 9 settembre). In data 31 agosto 1943 il negozio di Gardone risulta aver cessato l’attività ed è stato venduto. Dall’11 settembre la città viene occupata dai tedeschi ed è quindi soggetta alle leggi di guerra. L’apparato militare nazista si avvale della collaborazione della polizia fascista. Le condizioni di vita diventano sempre più precarie e la situazione precipita con il rastrellamento e la deportazione degli ebrei del ghetto avvenuta all’alba del 16 ottobre 1943 ad opera delle SS. Le famiglie Soliani-Terracina lasciano precipitosamente Roma e per alcuni giorni trovano un rifugio precario nelle campagne di Aprilia; ben presto però i soldi finiscono e sono costrette a tornare nella capitale. Lina ed Elvira con i bambini si nascondono, dietro pagamento della retta, in un convento femminile in via Merulana dove rimarranno fino all’arrivo degli alleati il 4 giugno 1944. Arturo (munito anche di una falsa tessera che lo identifica quale giornalista dell'Osservatore Romano) e Umberto invece, trovano ospitalità nel convento benedettino di San Paolo, luogo sicuro in quanto gode dell’extra territorialità garantita dai Patti Lateranensi. Nella notte fra il 3 e il 4 febbraio 1944, sotto la guida di Piero Koch e con il benestare del questore di Roma Pietro Caruso, reparti della polizia italiana danno l'assalto alla basilica di San Paolo. L'operazione conduce all'arresto di un generale (Adriano Monti), di aerei quattro alti ufficiali, di due agenti di polizia, di quarantotto giovani reticenti alla leva e di otto ebrei; tra questi Arturo e Umberto Soliani e il cugino Aurelio Spagnoletto. Verso la metà di febbraio 1944 Arturo e Umberto sono trasferiti a Verona, in una struttura militare situata tra il Volto Cittadella e via Pallone. Da qui, in vista della deportazione, passano nel campo di Fossoli da cui il 16 maggio 1944 partono (convoglio 10) con destinazione Auschwitz. Alcuni sopravvissuti, dopo il loro rientro in Italia, dichiararono di aver incontrato Arturo e il fratello Umberto nel campo di Auschwitz; probabilmente assegnati al "Kanada" grazie alla conoscenza del tedesco e quindi soggetti a un migliore trattamento, riuscirono a sopravvivere alle marce della morte dei primi mesi del '45. Dopo l’abbandono di Auschwitz Arturo Soliani risulta registrato con sicurezza prima a Gross Rosen e, in data 25 febbraio 1945, a Flossenbürg. Secondo alcune fonti sarebbe passato successivamente al campo di Buchenwald e infine a quello di Bergen-Belsen, il 20 marzo. Poche settimane dopo i lager saranno liberati, ma per Arturo è troppo tardi. Solo nel 1965 la Croce Rossa sarà in grado di documentare con certezza la sorte di Arturo.[36] | |
QUI ABITAVA UMBERTO SOLIANI NATO 1916 ARRESTATO 4.2.1944 ROMA DEPORTATO 1944 AUSCHWITZ ASSASSINATO 15.3.1945 DACHAU |
Gardone Riviera, Corso della Repubblica 57 | Umberto Soliani (1916-1945) nato a Lugano da Isacco e Caviglia Italia il 7 febbraio 1916, si sposa a Roma nel 1940 con Elvira Terracina, sorella di Lina. Iscritto all’anagrafe del comune di Gardone Riviera dal 21 luglio 1940 come proveniente da Roma e appartenente “alla razza ebraica”. Gestisce col fratello Arturo il negozio di pelletterie ed articoli da regalo Alla bomboniera.Dal matrimonio con Elvira nasce a Roma nel 1941 Alessandro Massimo e, al tempo della tragica vicenda, la moglie è incinta del secondogenito, Angelo che nascerà a Roma nel maggio 1944.
Nel periodo badogliano, in data imprecisata, a Gardone la famiglia si trasferisce a Roma in via Galvani 33b. Come il fratello Arturo e i famigliari Terracina, anche Umberto si allontana dalla capitale dopo la razzia del ghetto ad opera delle SS di Kappler in data 16 ottobre. Dopo un primo periodo in cui trovano rifugio nelle campagne di Aprilia, rimasti senza mezzi, i due fratelli con le mogli e i bambini tornano a Roma. Le donne e i figli trovano rifugio in un convento in via Merulana, i mariti con il cugino Aurelio Spagnoletto trovano ospitalità all’interno del monastero benedettino annesso alla basilica di S Paolo fuori le Mura. La basilica gode dell’extraterritorialità garantita al Vaticano dai patti Lateranensi e dovrebbe costituire un luogo sicuro. Il 30 novembre 1943 entra in vigore la ordinanza di polizia nº 5 che stabilisce per tutti gli ebrei la ricerca, l’arresto e l'internamento (circolare del Ministro dell’Interno della RSI Buffarini Guidi) in quanto considerati “stranieri e durante questa guerra appartenenti a nazionalità nemica.” Quando nella notte tra il 3 e il 4 febbraio 1944 avviene l’irruzione della polizia fascista nel monastero benedettino annesso alla basilica di S Paolo fuori le Mura, il nome dei fratelli Soliani è ben noto ai fascisti e agli uomini di Koch. Umberto con il fratello Arturo e il cugino Aurelio Spagnoletto viene trasferito al carcere di Regina Coeli. Con il fratello Arturo e il cugino Aurelio Spagnoletto Umberto viene successivamente trasferito a Verona in una struttura militare situata tra il Volto Cittadella e via Pallone. Da qui, in vista della deportazione, passano nel campo di Fossoli e infine, il 16 maggio 1944 partono con destinazione Auschwitz (Convoglio 10). La testimonianza di alcuni sopravvissuti riferisce che grazie alla conoscenza del tedesco Umberto con il fratello aveva avuto la possibilità di lavorare nel “Kanada” e quindi di godere di un vitto migliore che gli aveva permesso di sopravvivere alle terribili “marce della morte” successive all’evacuazione del campo di Auschwitz. Solo nel 1965 la Croce Rossa sarà in grado di documentare con certezza il decesso di Umberto Soliani avvenuto a Dachau il 15 marzo 1945, poche settimane prima della sua liberazione da parte degli alleati.[37] |
Immagine | Scritta | Indirizzo | Biografia |
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QUI ABITAVA DAVIDE ARDITI NATO 1883 ARRESTATO 22.12.1943 DEPORTATO AUSCHWITZ ASSASSINATO 26.2.1944 |
Via Benecco, 32 (Soprazocco) 45°35′43.5″N 10°28′50.67″E |
Davide Arditi nacque in Bulgaria a Varna il 12 febbraio 1883. Era il figlio di Beniamino Arditi e Visa Danon. Era commerciante e coniugato con Rivka Jerochan (vedi sotto). La coppia aveva almeno un figlio. Da un saggio di Fabrizio Bientinesi si evince che Arditi aveva firmato il 16 luglio 1943 a Sofia una liberatoria riguardando i propri beni posseduti in Bulgaria. Probabilmente il loro trasferimento in Italia è avvenuto dopo questo atto ufficiale. Da una testimonianza di Solomon Kohen dal novembre 1956 risulta che durante la guerra i coniugi fossero domiciliati a Milano. Poi si sono spostati a Salò, via Butturini 17 e successivamente a Soprazocco dove hanno vissuto presso la signora Margherita Delai vedova Ghidinelli che aveva affittato loro una camera. Tutte e due venivano arrestati il 22 dicembre 1943 e trasferiti prima al Carcere di Canton Mombello in Brescia e poi al Campo di transito di Fossoli. Il 22 febbraio 1944 venivano deportati con il convoglio n. 8 al Campo di concentramento di Auschwitz. Facevano parte dello stesso convoglio di Primo Levi. Durante la selezione venivano separati. Davide Arditi fu eliminato all’arrivo ad Auschwitz il 26 febbraio 1944.[38][39]
Sua moglie fu assassinata in luogo ignoto. | |
QUI ABITAVA RIKVA JEROCHAN NATA 1885 ARRESTATA 22.12.1943 DEPORTATA AUSCHWITZ ASSASSINATA IN LUOGO IGNOTO |
Via Benecco, 32 (Soprazocco) 45°35′43.5″N 10°28′50.67″E |
Rivka Jerochan, anche Rifka Yerohan di Yerohan oppure Jerchan, nacque in Bulgaria a Pleven il 12 febbraio 1883. Suo padre era Menachem Jerchan, il nome della madre è ignota. Coniugata con Davide Arditi (vedi sopra). La coppia aveva almeno un figlio. Probabilmente nell'anno 1943 emigrarono in Italia. La coppia visse prima a Milano, poi a Salò e finalmente a Soprazocco. Tutte e due venivano arrestati il 22 dicembre 1943 e trasferiti prima al Carcere di Canton Mombello in Brescia e poi al Campo di transito di Fossoli. Il 22 febbraio 1944 venivano deportati con il convoglio n. 8 al Campo di concentramento di Auschwitz. Facevano parte dello stesso convoglio di Primo Levi che arrivava al 26 dello stesso mese. Durante la selezione venivano separati. Il marito fu eliminato all’arrivo, ma anche Rivka Jerochan non ha sopravvissuta alla Shoah. È stata assassinata in luogo ignoto.[39][40] | |
Immagine | Scritta | Indirizzo | Biografia |
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A GHEDI ABITAVA SANTO BORGHETTI NATO 1917 INTERNATO MILITARE BERLINO ASSASSINATO 23.4.1945 |
Via XX Settembre, 130 |
Santo Borghetti[41][42] | |
QUI ABITAVA DOMENICO CONTRATTI NATO 1923 ARRESTATO 8.9.1943 INTERNATO MILITARE FALLINGBOSTEL ASSASSINATO 9.5.1944 |
Via XXIV Maggio, 18 |
Domenico Contratti[41][43] | |
QUI ABITAVA ANGELO DANDER NATO 1908 INTERNATO MILITARE BERNHAUSEN ASSASSINATO 21.2.1945 |
Via Dante, 8/A (presso la Casa degli Alpini) |
Angelo Dander[41][44] | |
QUI ABITAVA ANGELO MOR NATO 1911 ARRESTATO 8.9.1943 INTERNATO MILITARE WILHERING ASSASSINATO 4.5.1945 |
Via Dante, 8/A (presso la Casa degli Alpini) |
Angelo Mor[41][45] | |
QUI ABITAVA MARTINO PASINI NATO 1908 INTERNATO MILITARE RHEINHAUSEN ASSASSINATO 25.3.1945 |
Via Verdi, 52 |
Martino Pasini[41][46] | |
QUI ABITAVA FRANCESCO PRATINI NATO 1907 ARRESTATO 8.9.1943 INTERNATO MILITARE MOSBACH ASSASSINATO 17.6.1945 |
Via Verdi, 23 |
Francesco Pratini[41][47] |
A Palazzolo sull'Oglio si trovano 10 pietre d'inciampo, tutte poste il 18 gennaio 2016.[48]
Immagine | Scritta | Indirizzo | Biografia |
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QUI ABITAVA ANGELO BELOTTI NATO 1913 INTERNATO MILITARE ARRESTATO 8.9.1943 ASSASSINATO 16.1.1945 OSNABRÜCK |
Via Ponte Fusia 2 | Angelo Belotti (1913-1945) nacque a Palosco (Bg) il 3 settembre del 1913 da Francesco e Barbara Plebani. Cominciò a lavorare presto come garzone presso un barbiere del paese. Nel 1933 partì per il servizio militare. Giurò fedeltà il 24 maggio 1934, e nel maggio 1935 venne congedato. Venne poi assunto dalla ditta “Marzoli” di Palazzolo come operaio meccanico. A 26 anni sposò Caterina Vavassori, da cui ebbe i figli Francesco e Alessio. Il 19 novembre 1942 venne richiamato alle armi nella 467ª Brigata Territoriale – Plotone comando PM168 del 42º Reggimento di Fanteria, dislocato a Tolone. Nel novembre del ‘43 Caterina diede alla luce Barbara, che però morì a soli otto mesi. Con l’armistizio 815.000 soldati italiani vennero catturati dall’esercito tedesco e destinati a diversi lager con la qualifica di I.M.I. (Internati Militari Italiani). Anche Angelo, rifiutatosi di entrare nelle forze armate nazifasciste, venne internato nel lager di Osnabrück in Germania e costretto ai lavori forzati per la ditta Wolfe-Muller, con sede a Stoccarda. Le condizioni di vita nel campo erano insostenibili: la razione di cibo quotidiana consisteva in una zuppa a base di rape, in pochi grammi di pane e di companatico; non c’era la possibilità di lavarsi né di lavare gli indumenti, si soffriva il freddo e i turni di lavoro erano massacranti. Nonostante ciò, Angelo, per non turbare la famiglia, scriveva alla moglie cartoline rassicuranti sulla propria salute. In realtà era stremato dal lavoro forzato e dagli stenti. Il 4 gennaio del ’45 si presentarono i primi sintomi di un’infezione al labbro inferiore. Angelo chiese di essere visitato e ottenne un giorno di riposo; il successivo lavorò nonostante la febbre. Venne poi trasferito in ospedale. Angelo morì il 16 gennaio, a 32 anni. La famiglia venne informata della morte da un altro commilitone, Palazzi, nell’estate del ’45. Egli portò loro gli attrezzi da barbiere di Angelo e un clarinetto ricevuto dai commilitoni in cambio dei suoi servigi di barbiere. In data 31 ottobre 1958 giunse alla famiglia una comunicazione del “Commissariato generale onoranze caduti in guerra” del Ministero della Difesa, con cui veniva informata che “il giorno 14 novembre 1958” sarebbe arrivata “al cimitero di Palazzolo sull’Oglio con furgone militare la salma del vostro congiunto Soldato Belotti Angelo fu Francesco proveniente dalla Germania”. Angelo tornò a casa 13 anni dopo la sua morte.[49] | |
QUI ABITAVA CELESTINO BOLIS NATO 1922 INTERNATO MILITARE ARRESTATO 8.9.1943 ASSASSINATO 10.5.1944 |
Via Lancini 37 | Celestino Bolis (1922-1944) nacque l’11 febbraio 1922 da Giovanni Bolis e Giuseppina Lancini a San Pancrazio che, a quel tempo, era una frazione comunale suddivisa tra i Comuni bresciani di Adro e di Erbusco. Abitava insieme ai suoi tre fratelli e alle due sorelle. Non svolgeva un lavoro fisso, perché a quel tempo non era facile trovare un’occupazione, ma andava a pescare, tagliava la legna nei boschi, cacciava. Nel 1943 fu arruolato nella Marina Militare. Partì e da allora non si seppe più nulla di lui. Purtroppo non riuscì a dare sue notizie, e né le sorelle né le cugine furono più in grado di rintracciarlo. Si presume che sia stato catturato dai soldati tedeschi l’8 settembre a Genova e deportato in un campo di concentramento in Germania a soli 21 anni. Un elemento molto importante per la ricostruzione della fine della sua vita è legato al ritrovamento di un biglietto infilato in una bottiglia da Celestino e lanciato dal treno in sosta alla stazione di Rovato. Il biglietto, consegnato alla famiglia da un conoscente, informava che prigioniero dei tedeschi era in viaggio per una destinazione ignota. Questa è l’ultima sua notizia giunta ai familiari prima di quella della morte, che risale al 10 maggio 1944, avvenuta in un campo di concentramento tedesco non meglio identificato. Il biglietto venne poi consegnato dai familiari al Comune di Palazzolo affinché si potessero cercare notizie riguardo ai suoi ultimi giorni.[50] | |
QUI ABITAVA BATTISTA FUMAGALLI NATO 1923 INTERNATO MILITARE ARRESTATO 8.9.1943 ASSASSINATO 16.9.1944 HOFFMANNSTHAL |
Via Raspina 45 | Battista Fumagalli (1923-1944) nasce il 1º marzo 1923 in una cascina sperduta nella campagna palazzolese, ai confini delle terre coltivate di Cologne e di Chiari. È il secondo figlio della famiglia del contadino Giuseppe che coltiva circa 30 piò (unità di misura agricola usata in provincia di Brescia, corrisponde a 3256 m²) di terra. Frequenta le scuole elementari nell’edificio scolastico della Valena, al Mirasole, che accoglie gli alunni delle varie cascine dei dintorni. Dopo la scuola, come quasi tutte le persone nel primo dopoguerra, aiuta la famiglia nel lavoro dei campi. Fa il contadino, ma si prende cura anche dei fratelli minori, in particolare delle due sorelle più piccole. Nel frattempo, infatti, la famiglia aumenta di numero. A Giovanni e Battista si aggiungono Gino, Maria e Rosa. La famiglia vive nella grande cascina Fienilnuovo di via Raspina, insieme ad altre famiglie. La sorella più piccola, la sig.ra Rosa, ricorda il pane cotto sul fuoco, la stufa a legna, la stalla in cui ci si ripara dal freddo, le bombe alleate sul ponte ferroviario, ma non rammenta invece quando a Battista è ordinato di partire militare. L’Italia è in guerra dal 1940, alleata del Terzo Reich. Mentre il primo fratello, Giovanni, partecipa alla campagna di Francia e poi a quella di Russia da cui è reduce, Battista, soldato di leva del 1923, dopo essere stato lasciato in congedo provvisorio il 15 aprile 1942, viene richiamato alle armi. Non ancora ventenne, giunge nel 6º Reggimento Alpini quale predesignato per il Battaglione Vestone il 4 settembre 1942; viene poi assegnato nella Compagnia reclute del Battaglione Val Chiese il 7 dello stesso mese e nel 6º Battaglione Compagnia Alpini Bis il 9 novembre. Il 1º febbraio 1943 viene infine mobilitato. È catturato dai tedeschi a Colle Isarco l’8 settembre 1943, giorno della proclamazione dell’armistizio. Battista, nonostante la giovane età, rifiuta di combattere a fianco delle truppe nazifasciste e di aderire alla Repubblica di Salò. Internato lo stesso giorno finisce in Germania nel campo 1609 Stalag V, muore a Hoffmannsthal in campo di prigionia il 16 settembre 1944. Le circostanze della cattura e il comportamento tenuto durante la prigionia di guerra restano ignote. Per essere stato prigioniero dei tedeschi dall’8 settembre 1943 al 16 settembre 1944 gli viene conferita la Croce al merito di guerra. Dal momento della cattura la famiglia non ha più notizie di Battista. Dopo la morte di mamma Rita, a soli 48 anni, avvenuta in una tragica circostanza il 17 dicembre 1944, la famiglia sollecita notizie del figlio prigioniero. Solo allora un telegramma militare informa che Battista Fumagalli era morto tre mesi prima. Le spoglie del caduto tornano a Palazzolo il 5 agosto 1959, a cura del Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra, accolte dalle autorità cittadine. Ne dà notizia inoltre l'Eco di Bergamo. Lo stesso giorno la bara viene posta nella chiesa di S. Rocco e poi trasportata a spalle dagli alpini palazzolesi lungo le vie del paese fino alla parrocchiale di S. Maria Assunta, dove si celebra la S. Messa per le onoranze funebri. Scortata da un numeroso corteo, la salma è tumulata nella chiesetta del cimitero di Palazzolo, dove giacciono i caduti di guerra.[51] | |
QUI ABITAVA REMO DEL TON NATO 1924 INTERNATO MILITARE ARRESTATO 8.9.1943 ASSASSINATO 8.4.1944 FALLINGBOSTEL |
Via Mura 73 | Remo Del Ton (1924-1944) nacque il 9 dicembre 1924 a Viadana, in provincia di Mantova, sulla riva sinistra del fiume Po. Il padre Luigi, commerciante, si trasferì a Palazzolo sull’Oglio per motivi di lavoro seguito dai figli e dalla moglie, Maria Del Bon.Giovane operaio, fu chiamato alle armi durante la calda estate del 1943. Venne arruolato nel IV Reggimento Genio-Scuola, 1ª Compagnia Artieri di Bolzano. Qui i soldati tedeschi lo catturarono l’8 settembre 1943, il giorno dell’annuncio dell’armistizio con gli Alleati. Si rifiutò di entrare nelle formazioni nazifasciste della Repubblica sociale italiana, decisione che gli costò l’internamento in Germania. L’8 aprile 1944, a causa di una grave malattia, forse tubercolosi, contratta durante la prigionia, morì nel Lager di Fallingbostel, in Bassa Sassonia. Non aveva ancora compiuto i vent’anni.[52] | |
QUI ABITAVA FRANCESCO GIOVANESSI NATO 1924 INTERNATO MILITARE ARRESTATO 8.9.1943 ASSASSINATO 17.1.1944 SANDBOSTEL |
Via Zanardelli | Francesco Giovanessi (1924-1944) nasce a Colombaro di Corte Franca il 2 febbraio del 1924 in una famiglia di due sorelle e di due fratelli. Francesco vive i primi anni a Colombaro e si trasferisce con la famiglia a Palazzolo sull’Oglio in via Zanardelli 5, zona Riva, a seguito della prematura morte del padre. La giovane madre, rimasta vedova con quattro figli in condizioni economiche difficili, trova lavoro come operaia nella vicina fabbrica Lanfranchi ed è costretta ad affidare a due enti caritatevoli la cura e l’educazione di due dei suoi quattro figli. Teresa frequenta fin dai cinque anni l’orfanotrofio femminile delle suore Ancelle della Carità, mentre Francesco a sei anni viene affidato all’orfanotrofio maschile dell’Ente Galignani, dove riceve un’istruzione di base e impara il mestiere di modellista. Intorno ai diciotto anni lascia il Galignani e comincia a lavorare a Palazzolo come operaio modellista presso la fonderia del signor Merati. Francesco viene descritto dai fratelli Teresa e Giovanni come un bravo ragazzo, educato e tranquillo, dal carattere aperto e sincero. Era religioso, frequentava la parrocchia di Santa Maria Assunta e l’oratorio di San Sebastiano, dove incontrava gli amici. Sulla guerra Francesco ha un presentimento negativo. Non vuole partire e quando nel luglio del 1943 arriva la lettera della chiamata alle armi, vive momenti di disperazione e di sconforto. La sua destinazione è Bolzano dove è addestrato nel ruolo di marconista trasmettitore. Durante i due mesi di permanenza a Bolzano Francesco manda una sola lettera alla famiglia, antecedente l’8 settembre del 1943, in cui racconta le attività di addestramento.
L'8 settembre 1943 viene catturato a Bolzano dai soldati tedeschi e, dopo il suo rifiuto a collaborare con le forze nazifasciste, viene incarcerato prima come prigioniero di guerra e poi mandato come internato militare nel lager tedesco di Sandbostel (Bassa Sassonia) dal quale non riuscirà mai a mandare sue notizie alla famiglia. Trascorre a Sandbostel l’autunno e parte dell’inverno del 1943-1944, lavorando in condizioni disumane di sfruttamento e di dura prigionia. Il giovane muore pochi mesi dopo, il 17 gennaio del 1944, ma il telegramma ufficiale di morte arriverà alla famiglia soltanto un anno dopo, nel 1945. Dopo la Liberazione un compagno di prigionia di Francesco, originario di Urago d’Oglio, contatta la famiglia per consegnare la borsa di cuoio appartenuta a Francesco con il suo rasoio e raccontare ciò che sapeva degli ultimi giorni di vita. Era malato e, nonostante la febbre alta, fu costretto a recarsi al lavoro. Durante il trasporto verso il luogo di lavoro, a causa della febbre alta perse l’equilibrio, cadde dal camion e fu investito. Secondo alcuni testimoni morì sul colpo per l’incidente; secondo altri fu portato al lazzaretto del lager dove morì poco dopo.[53] | |
QUI ABITAVA MARIO GUARIENTI NATO 1924 INTERNATO MILITARE ARRESTATO 8.9.1943 ASSASSINATO 16.5.1945 LÜBECK |
Via Gianbattista Sufflico 7 | Mario Guarienti (1924-1945) nacque il 17 ottobre del 1924, a Palazzolo sull’Oglio, un ridente e operoso paese dell’ovest bresciano al confine con la provincia di Bergamo. Da ragazzo frequentava spesso l'oratorio di S. Sebastiano. Lavorava come operaio e prestava servizio volontario nei vigili del fuoco quando, nell’estate del 1943, venne chiamato alle armi, aveva 19 anni. Fu arruolato nel 40º Genio Marconisti ed aggregato al III Battaglione misto degli Alpini di stanza a Bolzano. Dopo l'8 settembre del ’43 rifiutò di collaborare con le forze nazifasciste che avevano occupato il Paese, e venne per questo tradotto in prigionia in Germania dove fu internato nel lager di Lübeck e costretto a lavorare per l’industria bellica tedesca. Dopo quasi due anni di fame, stenti e trattamenti disumani, lo colse una grave malattia che lo condusse alla morte il 16 maggio 1945. I suoi resti riposano oggi nel cimitero di Palazzolo, accolti con una toccante cerimonia cinquant’anni dopo la sua morte nel 1995.[54] | |
QUI ABITAVA CARLO MARELLA NATO 1924 INTERNATO MILITARE ARRESTATO 8.9.1943 ASSASSINATO 17.2.1944 WARSAW |
Cascina Gonzere | Carlo Marella (1924-1944) nacque a Pontoglio, un paese della bassa bresciana, sul confine con la provincia di Bergamo, il 21 agosto 1923. Per sostenere la famiglia numerosa – erano ben 11 figli, tra maschi e femmine – aiutava il padre nel duro lavoro dei campi, quando venne chiamato alle armi fu arruolato nel II Reggimento Artiglieria Alpina. Gu arruolato per la campagna di Russia, insieme al fratello Santo che poco tempo dopo sarebbe stato catturato dai sovietici e tradotto in una località dell’Asia dove morì il 31 maggio 1944. Dopo l’8 settembre rifiutò di collaborare e di combattere per le forze neonaziste e perciò venne internato nei pressi di Varsavia, in Polonia, in un campo di lavoro. Le durissime condizioni di vita, a cui venne sottoposto in prigionia, minarono la sua robusta costituzione e gli causarono una grave malattia ai polmoni che lo condusse alla morte il 17 febbraio 1944 nel Lazzaretto, Riserva V di Varsavia. Oggi una lapide nel cimitero di Pontoglio ricorda il suo nome e quello del fratello insieme a tutti coloro che gli vollero bene.[55] | |
QUI ABITAVA AMELIO REGGIO NATO 1924 INTERNATO FOSSOLI DESTINO SCONOSCIUTO |
Via Marconi 100 (alla piattaforma della stazione ferroviaria) |
Le informazioni relative alla vicenda della deportazione di Amelio Reggio (1924-?) si possono ricavare unicamente dal mattinale della questura di Brescia del 17 febbraio 1944 e dai fogli dell’Ufficio matricole del carcere di Canton Mombello di Brescia. Il suo nome non figura né all’interno degli elenchi dei deportati a Fossoli né in quelli stilati dagli studiosi. Dal primo risulta che Amelio Reggio fu rintracciato e arrestato dai carabinieri di Palazzolo sull’Oglio il 14 febbraio del 1944 e portato al campo di concentramento di Fossoli, medesima destinazione per gli altri ebrei arrestati nel bresciano. Risulta altresì che fosse residente a Milano e impiegato presso la ditta U.B.I. di Palazzolo sull’Oglio, che non si è ancora potuto identificare con precisione. Dalle note dell’Ufficio matricole di Canton Mombello invece, oltre alla conferma delle generalità riportate dal mattinale della questura, si evince che Amelio Reggio fosse padre di due figli e al momento dell’arresto domiciliato a Palazzolo sull’Oglio. Sulle ragioni della presenza di Aurelio Reggio nel borgo bresciano si possono fare solo alcune ipotesi, prendendo in considerazione le sorti di altri due ebrei sfollati a Palazzolo in quei mesi. Forse era dovuta al desiderio di sfuggire ai bombardamenti alleati sulle grandi città e alla speranza di una maggiore sicurezza, come nel caso di Lorenzo Sacerdoti, anch’egli arrestato nella stessa cittadina; oppure a motivi di lavoro, come per Gualtiero Morpurgo, il quale però, appena dopo l’8 settembre 1943 riuscì a scappare e a trovare rifugio in Svizzera. Infatti in quegli anni alcune industrie collocate nei principali centri del nord Italia avevano trasferito a Palazzolo sull’Oglio – già fiorente realtà industriale – parte della loro produzione e della manodopera, proprio per sottrarsi ai bombardamenti. Allora, dei 58.412 ebrei abitanti in Italia 118 vivevano nella provincia di Brescia e tra questi 35 non avevano cittadinanza italiana. Dei 26 ebrei residenti nella provincia di Brescia che furono deportati – individuati dal questore Candrilli, infaticabile nella caccia insieme a tutto l’apparato della Repubblica sociale – solo due riuscirono a sopravvivere. Si presume che Amelio Reggio sia stato arrestato probabilmente grazie alla solerzia del commissario prefettizio del partito fascista repubblicano di Palazzolo sull’Oglio, oppure individuato attraverso la delazione di qualche palazzolese interessato al premio in denaro che la denuncia assicurava. Non avendo trovato alcuna traccia di Reggio che ci permetta di ripercorrere con precisione la sua vicenda dopo l’internamento nel campo di transito di Fossoli, piuttosto che immaginarlo “cenere nel camino”, ci piace pensare che, almeno lui, sia riuscito a fuggire e ad assaporare la salvezza tanto agognata.[56] | |
QUI ABITAVA MARIO RUGGERI NATO 1924 INTERNATO MILITARE ARRESTATO 8.9.1943 ASSASSINATO 13.1.1945 SCHAUSSEE |
Piazza Roma 21 (era precedentemente numero civico 17) |
Mario Ruggeri (1924-1945) nacque a Palazzolo il 10 febbraio 1924 da Enrico e da Elisabetta Albrici. Viveva in Piazza Roma al numero 17 ed era rimasto figlio unico in seguito alla morte della sorellina in tenera età. Lavorava come operaio presso la ditta Marzoli ed era inoltre pompiere volontario, perché sperava in questo modo di non essere arruolato nell’esercito italiano. Nei primi anni di guerra le armate italiane avevano combattuto su diversi fronti, tra i quali quello russo, dove il VI Reggimento Alpini aveva subito gravissime perdite. Perciò nel maggio del ’43 si avviò la ricostituzione del reggimento: proprio nell’estate di quell’anno, Mario venne chiamato alle armi e collocato in forza nel VI Reggimento Alpini. La chiamata avvenne in un momento molto importante per l’andamento della guerra. Infatti l’8 settembre 1943 fu reso pubblico l’armistizio firmato pochi giorni prima dall’Italia con gli Alleati. I Tedeschi non vennero colti di sorpresa e furono pronti a occupare i punti nevralgici della penisola, fino a Roma, senza trovare resistenza da parte dell’Esercito italiano, lasciato allo sbando e senza ordini precisi dai comandi. I soldati italiani dovevano scegliere se continuare la guerra con i vecchi alleati o se deporre le armi. Il VI Reggimento si sciolse il 10 settembre 1943 a Fortezza (Bz). La bandiera di guerra venne sepolta in un bosco a monte della strada per il Passo Giovo e recuperata a fine guerra. Circa 600.000 uomini italiani in armi non accettarono di continuare la guerra coi nazifascisti e per questo furono disarmati e deportati in diversi campi di concentramento della Germania e costretti a lavorare come schiavi per l’industria bellica tedesca. Mario tentò più volte di scappare ma non riuscì nel suo intento: una sera, dopo un pomeriggio passato a pregare, avrebbe dovuto trovarsi con sette compagni di prigionia per fuggire, ma mancò all’appuntamento e da quel momento non si ebbero più sue notizie. I suoi compagni riuscirono invece a scappare. Le condizioni di vita a Palazzolo per i familiari di Mario erano precarie: all’angoscia per la sorte del figlio dal 1944 si aggiunse il terrore dei bombardamenti Alleati, che miravano a colpire il ponte della ferrovia. Fu un mistero anche la sua morte, probabilmente avvenuta il 13 gennaio 1945. Si pensa che sia morto per denutrizione. La vita nei campi di prigionia, era molto difficile: tutti vivevano di stenti ed era necessario adattarsi a quelle condizioni. Non bisogna escludere che Mario sia morto a causa di malattie non adeguatamente curate. Mario non si sposò; la sua perdita fu dolorosa per la famiglia e tutta la parentela.[57] | |
QUI FU ARRESTATO 3.12.1943 RENZO SACERDOTI NATO 1885 INTERNATO FOSSOLI DEPORTATO 1944 AUSCHWITZ ASSASSINATO |
Piazza Vincenzo Rosa | Renzo Sacerdoti (1885-1944) nasce il 12 febbraio 1885 a Treviso, in una famiglia di ebrei italiani, come quinto figlio di Moisè Sacerdoti e Maria Antonietta Dal Monte. Si sposa l’11 settembre 1913, con Gilda Aida Zevi, ed insieme vanno a vivere a Venezia. Nel 1914 nasce la prima figlia Wanda Dina. Nel febbraio 1916 viene richiamato come ufficiale e combatte lungo il fronte dell’Isonzo. Nella primavera del 1916 nasce la seconda figlia Alda Bruna, cui seguirà nel 1918 anche la terzogenita Annamaria. Negli anni ‘20, la famiglia di Renzo Sacerdoti si trasferisce a Milano in Via Canova. Renzo, dottore in economia, lavora in banca ed è direttore fino al 1936. Renzo, per la sua origine ebraica è costretto a lasciare l’impiego in banca e trova un lavoro di ripiego presso la Calcografia Carte e Valori di Milano. A causa delle leggi razziali emanate dal fascismo gli ebrei italiani non possono possedere case di lusso e così Renzo e Gilda intestano la loro casa di Milano a un prestanome e vanno ad abitare in via Marcona nº 48 in un appartamento al quinto piano senza ascensore. Nel 1938, nonostante i divieti imposti dalle leggi razziali, Augusto Lovisolo, cattolico e “ariano”, sposa Dina Sacerdoti, la figlia primogenita di Renzo e Gilda; l’8 settembre 1940 nasce Gianfranco Lovisolo. Un amico di famiglia, propone ad Augusto Lovisolo, di assumerlo nella sua fabbrica di Palazzolo dove si costruiscono strumenti per le navi da guerra, così la famiglia nell’estate ’43 lascia Milano seguito dopo breve tempo da Renzo Sacerdoti con la moglie, e la figlia Annamaria.
Il 30 novembre 1943 la RSI decreta l’arresto di tutti gli ebrei e il loro concentramento in campi provinciali. Nel novembre 1943 tra Renzo Sacerdoti e la moglie Gilda iniziano interminabili discussioni: i fratelli di entrambi sono già in Svizzera, ma Renzo non vuole lasciare l’Italia. “Sono un galantuomo”, diceva fiducioso Renzo alla moglie, “ho servito con onore la Patria, questa moda della persecuzione degli ebrei passerà, ma perché mai dovrebbero farmi del male…?”. Alla fine Gilda si arrende: dopo avere invano supplicato Renzo di seguirla, prepara la valigia e tenta la fuga verso la Svizzera con le figlie Bruna e Annamaria. Per varcare il confine Gilda è costretta a cedere l’anello con il brillante ai gendarmi svizzeri, ma passa la frontiera. Le tre donne dapprima sono state recluse nel campo di concentramento di Lugano, poi riescono a sopravvivere andando a servizio. Renzo Sacerdoti con la figlia Dina e la sua famiglia restano dunque a Palazzolo, fiduciosi che nulla sarebbe accaduto. È tranquillo soprattutto Augusto Lovisolo, poiché il governo ha emanato disposizioni che non prevedono persecuzioni per cittadini ebrei coniugati con ariani. La mattina del 3 dicembre 1943, invece, inaspettatamente, Dina Sacerdoti viene arrestata da due carabinieri. Una lettera dell’8 dicembre di Augusto Lovisolo alla moglie in carcere a Brescia, ci informa che a quella data Renzo Sacerdoti era ancora libero (la scheda del Centro di Documentazione Ebraica attesta invece catturato il 3 dicembre). Egli è arrestato a Palazzolo, probabilmente qualche giorno dopo l’8 dicembre e tradotto nelle carceri di Canton Mombello a Brescia (matricola 4258). Dopo il 6 febbraio 1944 Renzo viene quindi trasferito nel carcere di San Vittore a Milano e di qui al campo di raccolta di Fossoli. Dina Sacerdoti dopo alcuni giorni è rilasciata dal carcere e riesce a tornare alla sua famiglia a Palazzolo. Si rifugia a Foresto Sparso, una località in provincia di Bergamo, a pochi chilometri a nord di Palazzolo, dove rimarrà insieme con il marito Augusto e il piccolo Gianfranco fino alla primavera del 1945. Renzo invece viene inviato nella primavera del 1944 al campo di concentramento di Fossoli, qui incontra tra gli altri prigionieri il cantante lirico Emilio Jani, che nel suo libro “Mi ha salvato la voce” (1960) lo descriverà come persona assai sensibile, legatissima alla famiglia. Il 5 aprile 1944 Renzo Sacerdoti costretto a salire su un carro bestiame, chiuso ermeticamente, viene deportato ad Auschwitz, dove arriva il 10 aprile 1944, da quel momento non si ha più alcuna sua notizia.[58] |
Immagine | Scritta | Indirizzo | Biografia |
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QUI ABITAVA MASSIMO LÖWY NATO 1880 ARRESTATO 2.12.1943 DEPORTATO 1944 AUSCHWITZ ASSASSINATO |
Salò, Via Rive Grandi 13 45°36′48.5″N 10°33′07.95″E |
Massimo Löwy nacque a Mährisch-Ostrau il 29 settembre 1888. da Giuseppe Loewy ed Elena Tieder. Cresceva a Francoforte sul Meno ed era battezzato protestante nel 1905.[59] Si sposò con Berta Meyer, nel giugno 1906. Nello stesso anno la coppia si trasferirò a Gardone Riviera. Qui gestiva un negozio di articoli da regalo in corso della Repubblica 59 e la coppia aveva due figlie, Carola (nata il 29 settembre 1914) ed Hélène (nata il 25 febbraio 1916).[60]
Nel 1936 la famiglia si trasferì a Salò, via Barbarano, 84 (ora via Rive grandi, 13) dove gestiva un salone di parrucchiere. Nel 1938, Carola Löwy voleva sposare il bresciano Cesare Profeta, però il matrimonio fu negato in applicazione del R.D.L. 17 novembre 1938/XVII Nº 1726 che vietava i matrimoni misti.[60] Al principio del dicembre 1943 Massimo Löwy e le due figlie venivano arrestati a Barbarano di Salò e detenuti al carcere di Salò. Le due sorelle erano state riconosciute di "discendenza mista di primo grado perché figlie di madre ariana di nazionalità tedesca" e come tali rilasciate il 21 gennaio 1944. In padre invece fu trasferito primo al Carcere di Canton Mombello à Brescia e poi al Campo di Fossoli. Il 22 febbraio 1944 viene deportato con il convoglio n. 8 al Campo di concentramento di Auschwitz. Massimo Löwy fece parte dello stesso convoglio di Primo Levi e 650 altri ebrei e fu eliminato all’arrivo ad Auschwitz il 26 febbraio 1944.[61] |
Immagine | Scritta | Indirizzo | Biografia |
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QUI ABITAVA SPARTACO BELLERI NATO 1920 ARRESTATO COME POLITICO 7.11.1944 DEPORTATO MAUTHAUSEN ASSASSINATO 15.3.1945 |
Via Marconi 3 45°40′18.2″N 10°11′19.86″E |
Spartaco Belleri nacque il 25 febbraio 1920 a Sarezzo da Lorenzo Belleri e Domenica Guerini. Era il primo di tre fratelli. Suo padre era un socialista noto della Valle Trompia. Frequentò il collegio civico di Salò, diplomandosi nel 1940. Fu impiegato ed anche agricoltore. Andò coscritto nel corpo degli alpini. Dopo l'armistizio di Cassibile si unì ai partigiani della Val Trompia partecipando a varie azioni di guerriglia.[62] Il 7 novembre 1944 membri della G.N.R. fecero irruzione nella sua casa e — non trovandolo — arrestarono il padre. Spartaco si fece arrestare per salvare il padre. Venne portato al carcere di Brescia. Fu interrogato e torturato dalle SS. Il 14 novembre 1944 venne deportato nel Campo di transito di Bolzano, dove scriveva un'ultima lettera alla moglie e al figlio. il 14 dicembre, fu trasferito al Campo di concentramento di Mauthausen dove morì il 15 marzo 1945.[63] | |
QUI ABITAVA GIOVANNI COLOSIO NATO 1921 INTERNATO MILITARE ARRESTATO IN GRECIA ASSASSINATO 9.4.1945 ZWATEWN OF JENA |
Piazza Cesare Battisti 18 45°39′13.95″N 10°12′12.42″E |
Giovanni Francesco Colosio nacque il 4 gennaio 1921 a Sarezzo. I suoi genitori erano Angelo Colosio e Antonia Zani. Zoppicava dopo un incidente con una slitta. Il 11 gennaio 1941 fu richiamato alle armi, nonostante la sua disabilità. Dopo l'armistizio di Cassibile non aderisce alla Repubblica Sociale Italiana, viene arrestato dai Tedeschi e deportato come I.M.I. nel Campo di Kahla in Thuringia, dove i Nazisti costruivano un complesso sotterraneo di fabbriche belliche. Nel campo venivano impiegati 12.000 lavoratori forzati da tutta l'Europa di cui almeno 2.000 rimasero vittime del trattamento ricevuto. Il 9 aprile 1945 morì a Jena.[64] | |
QUI ABITAVA ANTONIO PEDERGNAGA NATO 1918 INTERNATO MILITARE ARRESTATO SAN CANDIDO ASSASSINATO 9.5.1944 LEIPZIG |
Via Nord 26 45°39′20.28″N 10°12′17.67″E |
Antonio Battista Pedergnaga nacque il 16 maggio 1918 da Angelo Pedergnaga e Alceste Marianini. Aveva quattro fratelli. Il 31 marzo 1939 fu chiamato alle armi. Trascorse in suo servizio militare a San Candido nella provincia di Bolzano. Dopo l'armistizio di Cassibile viene arrestato dai tedeschi e deportato come I.M.I. nel Campo di Kahla in Thuringia. Il 9 maggio 1944 viene dichiarato morto a Lipsia.[65] | |
QUI ABITAVA MARIO POZZI NATO 1921 ARRESTATO COME POLITICO 7.11.1944 DEPORTATO MAUTHAUSEN MELK ASSASSINATO 24.3.1945 |
Via Dante Alighieri 150 45°40′00.43″N 10°11′36.53″E |
Mario Pozzi (1921-1945) nacque il 6 giugno 1921 a Sarezzo, da Pozzi Pietro. Mario, che fin da giovane non voleva sposare l’ideologia fascista, si era rifugiato in montagna con lo zio Rodolfo ed il padre Pietro assieme ad altri partigiani. Il 7/11/1944 vennero prelevati con una retata dalle loro abitazioni, pestati a sangue e condotti al campo di concentramento di Bolzano, che serviva da smistamento per le varie destinazioni finali dei deportati. Dopo circa un mese di prigionia, il giorno 14/12/1944 vennero caricati su un treno per il trasporto del bestiame, senza cibo e tutti ammassati uno contro l’altro, senza alcuna possibilità di movimento. Destinazione del viaggio era Mauthausen[66], in Austria, dove arrivarono stremati, dopo un viaggio di 5 giorni in quelle condizioni, il 19/12/1944. Arrivati in Austria, Mario verrà poi mandato nel sottocampo Melk.
Durante la prigionia, così come i compagni, Mario indossava un fazzoletto di stoffa triangolare di colore rosso, che riportava scritta la sua nazionalità ed il codice che lo rappresentava. Mario aveva il n.114072 ed a seguire il padre Pietro con il n.114073 e lo zio Rodolfo il n.114074, poiché vennero proprio immatricolati uno dopo l’altro. Mario morirà qui il 24 marzo 1945. | |
QUI ABITAVA PIETRO VITTORIO POZZI NATO 1892 ARRESTATO COME POLITICO 7.11.1944 DEPORTATO MAUTHAUSEN MELK ASSASSINATO 11.3.1945 |
Via Dante Alighieri 150 45°40′00.43″N 10°11′36.53″E |
Pietro Vittorio Pozzi (1892-1945) nacque il 2 agosto 1892 a Brione, in provincia di Brescia. Visse a Sarezzo e il 6 giugno 1921 ebbe un figlio al quale diede il nome di Mario. Il 7 novembre 1944 ci fu una retata e vennero arrestati Pozzi Rodolfo, Pozzi Mario e Pozzi Pietro. Furono portati al castello di Brescia e qui torturati. Segnalati come pericolosi furono internati nel campo di concentramento di Bolzano, presumibilmente intorno al 22 novembre 1944. Tutti e tre insieme da Bolzano il 14 dicembre del 1944 furono deportati verso il campo di Mauthausen, dove arrivarono il giorno 19 dicembre 1944 (dopo ben cinque giorni di viaggio nei carri di bestiame). Pozzi[67] Pietro mori a Melk l’11 marzo del 1945. | |
QUI ABITAVA RODOLFO LUIGI POZZI NATO 1900 ARRESTATO COME POLITICO 7.11.1944 DEPORTATO MAUTHAUSEN/GUSEN MAUTHAUSEN ASSASSINATO 15.3.1945 |
Via Dante Alighieri 150 45°40′00.43″N 10°11′36.53″E |
Rodolfo Luigi Pozzi (1900-1945) nascondeva i partigiani in montagna nella località “Stalo”, insieme al fratello Pietro Vittorio e al nipote Mario, il 7 novembre 1944 li portarono al castello di Brescia dove furono torturati e segnati come soggetti pericolosi. Per questo motivo il 22 novembre 1944 li trasferirono nel campo di concentramento di Bolzano dove furono rinchiusi nel blocco E - insieme a coloro che erano destinati alla deportazione in Germania. Tutti e tre insieme, dopo un lungo viaggio di cinque giorni su carri di bestiame, arrivarono al campo di Mauthausen. Furono immatricolati e a Rodolfo venne tatuato il numero 114074. Nel campo erano obbligati a lavorare per dodici ore al giorno, malnutriti. Pietro e Mario vennero trasferiti nel sottocampo di Melk il 31 gennaio 1944 mentre Rodolfo dovette aspettare il 29 dicembre 1944 per essere trasferito nel sottocampo di Gusen. Il 15 marzo 1945 ritornò a Mauthausen dove morì.[68] | |
Immagine | Scritta | Indirizzo | Biografia |
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QUI FU ARRESTATO MAURIZIO BENGHIAT NATO 1881 ARRESTATO 31.12.1943 DEPORTATO 1944 AUSCHWITZ ASSASSINATO 26.2.1944 |
Via San Pietro, 24 |
Maurizio Benghiat[69] |
Le pietre d'inciampo nella provincia di Brescia sono state collocate da Gunter Demnig personalmente nelle seguenti date:
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