Colonialismo italiano
politiche coloniali del Regno d'Italia (1882-1946) / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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Il colonialismo italiano fu un periodo compreso tra il 1882 e il 1943, durante il quale il Regno d'Italia intraprese una serie di spedizioni con lo scopo di dare il via, e successivamente espandere, un proprio dominio coloniale, soprattutto in territorio africano. Il trentennio tra il 1885 e il 1913 coincise con l'età dell'imperialismo, dove le potenze europee trasformarono i loro vasti imperi informali, mantenuti con l'influenza militare ed economica sui territori d'oltremare, in imperi formali, con la conquista militare dei territori e il loro dominio diretto[1]. In meno di trent'anni le nazioni europee si spartirono il mondo, e con l'avvento del Novecento la fase più consistente di questa espansione era ormai compiuta cosicché nel quindicennio successivo i maggiori imperi coloniali furono soprattutto impegnati ad assestare e consolidare il controllo sulle colonie reciprocamente riconosciute nel ventennio precedente. Fu il Regno d'Italia a fare eccezione a questo ritmo generale[2]. Arrivata senza alcun possedimento nell'età dell'imperialismo, l'Italia liberale diede formalmente inizio alla propria "avventura" coloniale con l'espansione in Eritrea (tra il 1882 e il 1890), usata come trampolino di lancio per il fallimentare tentativo di conquista dell'Etiopia, concluso con il disastro di Adua nel 1896. Nel frattempo vennero messe le basi per l'annessione della Somalia, i cui confini vennero definiti nel 1908 con un accordo italo-etiopico, mentre sulla scia dell'intervento delle nazioni europee in Cina a seguito della ribellione dei Boxer, l'Italia ottenne la piccola concessione italiana a Tientsin.
Lo sforzo più grosso dell'Italia liberale per ottenere un proprio impero in Africa fu con la guerra di Libia. L'Impero ottomano all'epoca controllava le regioni libiche di Cirenaica e Tripolitania, ma la guerra di fatto fu combattuta prima contro la resistenza anti-coloniale turco-libica e poi solo libica. Con il trattato di Ouchy firmato nell'ottobre 1912, Costantinopoli si impegnò a ritirare i propri ufficiali e la Libia poté essere annessa all'Italia, anche se il controllo effettivo dell'interno di questa colonia sarebbe stato ancora a lungo un obiettivo piuttosto che una realtà[3]. Alla vigilia della prima guerra mondiale l'Italia possedeva poteva vantare un oltremare quantitativamente piccolo, che sul totale generale delle superfici coloniali occupate da europei pesava poco meno el 4%, con una popolazione forse dello 0,3%[4].
Durante la Grande Guerra le vicende coloniali giocarono un peso limitato per l'Italia, sia perché non potè partecipare ad alcuna operazione militare contro i possedimenti tedeschi in Africa, sia perché il comandante supremo Luigi Cadorna rifiutò sempre l'ipotesi di destinare truppe suppletive nelle colonie[5]. Durante la conferenza di Versailles, nonostante le richieste di Roma, i governi di Londra e Parigi si accordarono fra loro, escludendo l'Italia dai maggiori compensi coloniali, e il governo di Roma dovette accontentarsi di alcuni ritocchi di confine. Fu una sconfitta diplomatica da cui sarebbe nato il mito della "vittoria mutilata"[6].
Tra le due guerre mondiali le altre potenze mirarono a valorizzare e sfruttare propri possedimenti d'oltremare, in Italia invece, il governo fascista mirò ad espandere ulteriormente i possedimenti coloniali e a "pacificare" i territori già formalmente annessi con il pugno di ferro[7]. Durante la prima guerra mondiale le forze italiane in Libia vennero respinte dalla guerriglia locale in poche città lungo la costa, ma tra il 1922 e il 1934 le forze italiane repressero i ribelli libici durante la cosiddetta riconquista della Libia, successivamente Cirenaica e Tripolitania furono unite nel governatorato generale della Libia italiana[8]. La politica di potenza del regime fascista concentrò quindi i propri sforzi verso l'Etiopia, e nel 1935 venne intrapresa una imponente campagna coloniale contro il governo di Addis Abeba. La guerra d'Etiopia si risolse a favore delle forze italiane, e l'Etiopia venne unita ad Eritrea e Somalia per dare vita all'Africa Orientale Italiana (AOI). In tale occasione Vittorio Emanuele III assunse il titolo imperiale d'Etiopia e fu proclamata ufficialmente la nascita dell'Impero.
Dopo l'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale nel 1940, l'Italia si vide da una parte impegnata a mantenere il controllo sui possedimenti africani e dall'altra tentò di annettere territori nei Balcani in ottemperanza alle mire espansionistiche del regime. Nel 1941 la rapida disfatta delle forze italiane in Africa orientale a opera delle forze britanniche consentì a Hailé Selassié di tornare ad Addis Abeba, e nel 1943 con la disfatta delle forze dell'Asse in Nordafrica decretarono la fine della presenza italiana in Africa. Con la caduta del fascismo del 25 luglio 1943 e il seguente armistizio di Cassibile con le forze Alleate, l'Italia terminò anche l'occupazione temporanea dei territori nei Balcani e nella Francia meridionale. Nel dopoguerra, con la firma del trattato di pace del 1947 venne infine sancita la perdita di tutte le colonie, stabilendo così la fine dell'epoca coloniale italiana.