Con arte del Gandhāra si intende comunemente la produzione architettonica, plastica e (seppur in misura minore) pittorica, quasi esclusivamente di soggetto buddhistico e collegata alle fondazioni religiose presenti nella regione omonima, corrispondente all'odierna piana di Peshawar (in senso più ampio, la regione del Gandhāra include i territori degli odierni Pakistan settentrionale e Afghanistan orientale). Cronologicamente, l'arte del Gandhāra si colloca tra gli ultimi decenni del I sec. a.C. e il IV-V sec. d.C. (con echi che giungono fino al VII-VIII sec. d.C.). I materiali utilizzati sono la pietra (scisto e calcare), lo stucco e l'argilla. I rilievi gandharici adornavano i monumenti religiosi buddhisti (stūpa e vihāra) e raffiguravano scene della vita del Buddha e jātaka (storie delle vite precedenti di Siddhārtha).

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Rilievo in scisto raffigurante il Buddha, il Vajrapani e alcuni monaci, proveniente da Butkara I (Pakistan) e conservato presso il Museo Nazionale d'Arte Orientale di Roma.

L'arte del Gandhāra è l'esito di influssi artistici diversi: indiani, iranici ed ellenistici. È su quest'ultima componente che si sono soffermati maggiormente gli studiosi (soprattutto europei), poiché un'arte così "greca" in una regione così remota avrebbe dimostrato la capacità civilizzatrice dell'Occidente in contrapposizione a una presunta arretratezza culturale dell'Oriente. Per decenni, studiosi occidentali e orientali si sono confrontati (a volte anche aspramente) sull'origine dell'arte del Gandhāra e sul predominio di questo o quell'influsso artistico, in particolar modo in riferimento all'immagine antropomorfa del Buddha.[1] Non a caso l'arte del Gandhāra fu definita inizialmente "arte greco-buddhista", "arte romano-buddhista" e finanche "arte greco-romano-buddhista"; si trattava di definizioni coniate dagli studiosi europei e americani, tutte tese a mettere l'accento solo su una delle componenti dell'arte del Gandhāra.

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