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pellicola cinematografica di cui si presume siano andate perdute tutte le copie Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Un film perduto o perso è un'opera cinematografica su pellicola (sia essa lungometraggio che cortometraggio) di cui non esiste più alcuna copia (per deterioramento, smarrimento o distruzione) né negli archivi delle case di produzione né in collezioni private. In svariati casi, di tali film rimangono – quali testimonianze – isolati spezzoni fotografici, riprese fotografiche di scena e locandine e manifesti. In rare occasioni copie di film considerati perduti tornano alla luce e, se possibile, restaurate: è il caso, per esempio, di Too Much Johnson, film muto di Orson Welles, girato nel 1938, ritenuto perso in un magazzino incendiato in Spagna nel 1970 e ritrovato in Italia nel 2008.
The Film Foundation, associazione no-profit di conservazione cinematografica creata da Martin Scorsese, per bocca del suo stesso fondatore stima che l'80% dei film muti e il 50% di quelli prodotti negli Stati Uniti ante 1950 sia irrimediabilmente perduto, qualsiasi sia la causa (negligenza, consunzione, incendio, decomposizione)[1]. Molti di essi erano realizzati con nitrocellulosa estremamente instabile e infiammabile, il che li rendeva o causa prima o vittima principale di eventuali incendi: emblematico quello del 1937 presso gli archivi pellicole della 20th Century Fox in New Jersey, che distrusse tutti i negativi fotografati prima del 1932[2]. Un altro fattore di deterioramento della pellicola è la conservazione in condizioni non idonee di temperatura e umidità, all'epoca non tenute in considerazione.
Grandissima parte nella perdita delle pellicole, altresì, è dovuta alla loro distruzione intenzionale, in quanto all'avvento del sonoro si ritenne che un vecchio film muto non avesse più alcun valore artistico o commerciale. La guerra, specialmente la seconda guerra mondiale, provocò la distruzione e la perdita totale di pellicole archiviate sia in cineteche che in collezioni pubbliche e private; non è possibile una quantificazione del materiale distrutto e perduto durante tale conflitto in Italia, Germania, Giappone e altri Paesi colpiti dagli eventi bellici.
Il restauratore Robert A. Harris, in un suo intervento del 1993 a un simposio tenutosi a Washington presso la fondazione nazionale per il recupero cinematografico della Biblioteca del Congresso, affermò che la principale causa di distruzione delle pellicole vecchie fu, sostanzialmente, l'avidità delle major cinematografiche[3] che non avevano intenzione di spendere nell'archiviazione del materiale vecchio e lo smaltivano ciclicamente[3]; riguardo alle citate distruzioni intenzionali, inoltre, lo stesso Harris osservò che non esisteva neppure l'esigenza di mantenere necessariamente ogni pellicola girata, perché molta della produzione dell'epoca era di nessun valore e non vi era alcuna necessità di preservarla[3].
Altro fattore da tenere in conto è che, prima della televisione di massa e, successivamente, dell'home video, un film produceva profitti solo in sala, quindi poco o più nulla dopo il suo periodo di programmazione nei cinema, e il suo mantenimento in archivio era solo un costo. Sul lungo periodo, comunque, nessuna pellicola è esente da deterioramento; quella introdotta da Kodak nel 1948 con base acetata, seppure più stabile, è sensibile alla sindrome dell'aceto, vale a dire la decomposizione dello strato superficiale della pellicola dovuta a temperatura e umidità non ottimali; lavorando su tali due fattori è solo possibile aumentare la vita del supporto (per esempio, in un ambiente al 50% di umidità a 18 °C la durata della pellicola è di circa cinquant'anni, mentre a 15 °C la vita media si allunga a 150 anni[4]).
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