Canone buddista tibetano
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Con l'espressione Canone buddista tibetano, o Canone tibetano, si indica, negli studi buddisti, l'insieme di due raccolte di testi propri della letteratura buddista canonica in lingua tibetana e che corrispondono a:
- il bKa’-’gyur (nella grafia tibetana: བཀའ་འགྱུར; reso anche come Kangyur o Kanjur; lett. "[La raccolta delle] parole tradotte [del Buddha]");
- il bsTan-’gyur (nella grafia tibetana: བསྟན་འགྱུར; reso anche come Tangyur o Tanjur; lett. "[La raccolta dei] commentari tradotti").
Il Canone tibetano è quindi l'opera che raccoglie i sūtra (མདོ, mdo), i tantra (རྒྱུད, rgyud), i śāstra (བསྟན་བཆོས, bstan bcos), il vinaya (འདུལ་བ།, 'dul ba) e in generale le scritture buddiste, tradotte in lingua tibetana e ritenute importanti per la tradizione del Buddismo Vajrayāna in Tibet.
Il Canone tibetano si è sostanzialmente formato dall'VIII al XIII secolo, assumendo una sua prima edizione definitiva grazie al dotto poligrafo e bla-ma (བླ་མ) del XIV secolo Bu-ston rin-chen grub ( བུ་སྟོན་རིན་ཆེན་གྲུབ་, anche Butön Rinchen Drup, 1290-1364). Complessivamente esso si compone di oltre trecento volumi comprendenti circa quattromila opere tradotte dal sanscrito, dal pracrito, dallo apabhraṃśa, dal cinese e da lingue centroasiatiche, ma si compone anche di commentari redatti direttamente in lingua tibetana[1].