Blocco dell'Artsakh
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Il blocco dell'Artsakh è un evento che ha avuto luogo fra il 2022 e il 2023, inquadrabile nel più ampio contesto del conflitto del Nagorno-Karabakh. La regione in questione è stata oggetto di disputa tra l'Azerbaigian e l'Artsakh. Quest'ultimo era una repubblica separatista costituita da una popolazione di etnia armena e supportato dall'Armenia. Dal 2020, in seguito all'accordo di cessate il fuoco tra Armenia ed Azerbaigian al termine del secondo conflitto del Nagorno-Karabakh, un contingente di peacekeepers russi è stato schierato nella regione nell'ambito di un accordo trilaterale tra Armenia, Azerbaigian e Russia.
Blocco dell'Artsakh parte della seconda guerra del Nagorno Karabakh | |||
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Manifestanti azeri che bloccano il corridoio di Laçın | |||
Data | 12 dicembre 2022 - 30 settembre 2023 (9 mesi e 18 giorni) | ||
Luogo | Corridoio di Laçın | ||
Causa |
Annessione della regione all'Azerbaigian
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Esito | Scarsità e razionamento di cibo, forniture mediche ed elettricità
Centinaia di persone non possono ricevere interventi chirurgici, Scarsità di energia elettrica e gas, Esaurimento dei bacini idrici, Detenzione di personale dei media indipendenti, Inosservanza delle norme giuridiche internazionali, Chiusura di tutte le scuole, L'Azerbaigian lancia un'offensiva contro l'Artsakh nel settembre 2023, | ||
Schieramenti | |||
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Voci di crisi presenti su Wikipedia | |||
Il 12 dicembre 2022 un gruppo di cittadini dell'Azerbaigian, sostenendo di essere “attivisti ambientali”, ha bloccato il passaggio attraverso il corridoio di Laçın, ovvero l’unica strada che collega l'Artsakh all'Armenia ed al mondo esterno.[1][2][3]
Nonostante i manifestanti azeri sostengano di avere intenzioni pacifiche, il blocco da loro messo in atto cagionò in pratica conseguenze gravissime per la popolazione: i 120.000 residenti nella regione rimasero bloccati al loro interno, senza che fosse possibile l'importazione di cibo, carburante e medicine e di conseguenza provocando una crisi umanitaria. Sebbene con il tempo fosse stato reso possibile il passaggio di alcuni mezzi umanitari appartenenti al Comitato Internazionale della Croce Rossa ed ai peacekeeper russi in determinate occasioni[4], questi trasporti non furono sufficienti a garantire le esigenze alimentari, sanitarie ed energetiche degli abitanti della regione, che permasero in uno stato di chiusura all'interno dei confini dello stato autoproclamato, in condizioni umanitarie precarie e senza accesso a beni e servizi primari. Si segnalarono gravi difficoltà tra le altre cose nell’approvvigionamento del cibo, nel proseguimento dell’attività scolastica e nel ricongiungimento di famiglie, comprendenti minori, separate dal blocco in corso.[5][6][7]
Diverse infrastrutture strategiche che collegavano l'Armenia all'Artsakh furono danneggiate durante il blocco diverse volte, causando interruzioni nelle forniture di elettricità, gas e Internet. In diverse occasioni l'Azerbaigian tagliò l'unica fornitura di gas naturale all'Artsakh, per periodi anche di tre settimane, causando preoccupazioni dal punto di vista umanitario considerato il periodo invernale.[8] Il 10 gennaio fu danneggiata l'unica linea ad alta tensione che alimentava la rete elettrica dell'Artsakh e di conseguenza le autorità furono costrette ad intervenire con blackout pianificati quotidiani per razionare il limitato quantitativo di elettricità prodotto localmente. Il 12 gennaio 2023 anche i cavi a banda larga che fornivano il collegamento ad Internet furono danneggiati, per essere poi riparati da tecnici armeni il giorno seguente.
È ampiamente sospettato, da parte di organizzazioni non governative, giornalisti ed esponenti politici occidentali, che il blocco fu orchestrato dal governo dell'Azerbaigian come forma di guerra ibrida[9] al fine di sottomettere la regione indipendentista e prenderne il controllo[10], con il supporto della Turchia[11]. L'autenticità delle rivendicazioni "ambientaliste" sostenute dai partecipanti al blocco rimase sotto scrutinio da parte di organizzazioni internazionali e analisti politici essendo stato elevato il sospetto che quello dell'ambientalismo sia un pretesto, sostenuto dalle autorità azere e, in parte, turche, per costringere la popolazione dell'Artsakh alla resa nei confronti dell'Azerbaigian.[10]. Alcuni osservatori hanno inoltre fatto notare come in Azerbaigian il diritto al manifestare non sia un diritto civile riconosciuto e come le eventuali assemblee popolari spontanee vengano tendenzialmente represse in modo rapido da parte delle autorità[12][13][14][15][16][17][18]. Inoltre l’ambientalismo non sembra essere una tematica particolarmente sentita in Azerbaigian[16][19][20], considerato che il paese basa la sua economia in gran parte sullo sfruttamento di fonti fossili. Dall’analisi giornalistica dei video relativi alle proteste, inoltre, è possibile notare slogan e bandiere nazionaliste.[21][22][23][24]