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Arte nell'Italia fascista
Contesto artistico durante il ventennio fascista / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
L'arte nell'Italia fascista è stata spesso oggetto di studio e trattazione fra gli esperti del settore. Durante il ventennio (1922-1943), il regime impose una serie di regole ufficiali a cui l'arte doveva uniformarsi per diventare oggetto di propaganda e richiamare quella "romanità" a cui il fascismo si rifaceva.
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Tuttavia, mentre in Germania si delineava una vera e propria arte ufficiale del nazismo, tanto da pervenire nel 1937 ad una mostra itinerante di arte degenerata che metteva in mostra le opere bandite dal regime, in Italia continuarono a convivere movimenti nati in precedenza[1], come il futurismo, il modernismo e altre avanguardie, assieme a richiami all'arte classica[2].
Tra le altre forme d'arte, il fascismo promosse innanzitutto l'architettura come arte più mediatica, per il suo carattere monumentale e immediatamente visibile, e in secondo luogo la scultura, anche in questo caso puntando sulla monumentalità. Più che sulla pittura invece, l'influsso della politica si faceva sentire sull'iconografia della propaganda, attraverso la pittura murale, la fotografia, la grafica dei manifesti, i cinegiornali.[3]
Lo stato istituì mostre con premi e contributi finanziari, ed enti mirati alla conservazione delle creazioni artistiche, ed emanò leggi per regolamentare il sistema espositivo, e per assicurarsi un controllo della gestione dell'arte del territorio. Durante il regime, venne così meno l'egemonia delle organizzazioni già esistenti nate all'infuori delle accademie e delle amministrazioni municipali.[4]