Prigionieri di guerra giapponesi nella seconda guerra mondiale
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I prigionieri di guerra giapponesi nella seconda guerra mondiale rappresentarono un capitolo peculiare nella storia del conflitto mondiale. Per quanto il moderno Giappone avesse assunto, nei conflitti precedenti, una concezione della resa in guerra e dello status di "prigioniero di guerra" non troppo dissimile da quella delle contemporanee nazioni occidentali, tra gli anni 1930 e l'inizio degli anni 1940 le forze armate dell'Impero giapponese adottarono una dottrina militare che di fatto escludeva totalmente l'arrendersi al nemico dal novero delle possibilità di un soldato; l'impostazione dottrinaria delle forze armate imperiali poneva l'accento sulla necessità per il soldato di combattere fino alla morte in qualunque circostanza, e bollava la resa come un atto profondamente disonorevole.
Oltre a portare il Giappone a disconoscere le convenzioni internazionali in materia di trattamento dei prigionieri di guerra, con conseguenze largamente nefaste per i soldati degli Alleati caduti in mano ai giapponesi, questo atteggiamento generava episodi di resistenza fanatica da parte delle truppe nipponiche, innescando ben presto un circolo vizioso. Se pure gli alti comandi degli Alleati ordinarono di trattare i prigionieri di guerra giapponesi secondo le norme internazionali, ben riconoscendo il loro valore come fonti di informazioni d'intelligence, dopo le prime esperienze le truppe al fronte giunsero alla conclusione che i nipponici non si sarebbero mai arresi, e che i tentativi di resa non erano altro che inganni per attirare i militari alleati in imboscate; di conseguenza, i soldati statunitensi e australiani erano più che propensi a uccidere i giapponesi che pure cercavano effettivamente di arrendersi, episodi subito sfruttati dalla propaganda di Tokyo per convincere ulteriormente le proprie truppe a non arrendersi al nemico.
Nei quasi quattro anni della guerra del Pacifico le forze degli Alleati occidentali e della Repubblica di Cina catturarono un numero di militari nipponici stimato tra i 35.000 e i 50.000, una cifra estremamente bassa se comparata a quella di altri gruppi nazionali. Il numero di prigionieri di guerra giapponesi tuttavia crebbe esponenzialmente nei giorni immediatamente seguenti alla resa del Giappone nell'agosto 1945, quando svariati milioni di soldati nipponici schierati sul continente asiatico deposero le armi e si consegnarono alle forze statunitensi, britanniche, cinesi e sovietiche. Gli ultimi prigionieri giapponesi detenuti dagli Alleati occidentali furono rimpatriati tra il 1946 e il 1947, mentre diversi tra quelli presi dalla Cina dovettero attendere la conclusione della guerra civile cinese nel 1949 prima di poter rientrare in patria; le condizioni di detenzione dei prigionieri giapponesi presi dai sovietici furono molto dure e si prolungarono a lungo nel tempo, tanto che gli ultimi di essi poterono tornare in patria solo dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica nei primi anni 1990.