Gesù nell'ebraismo
Figura di Gesù secondo l'ebraismo / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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Sebbene storicamente il cristianesimo sia nato in ambito ebraico e Gesù il nazareno fosse ebreo, nessuna confessione dell'ebraismo riconosce in lui il Messia né tantomeno le caratteristiche divine che i cristiani invece gli attribuiscono.
L'ebraismo ritiene inoltre che le profezie e i riferimenti al Tanakh che si trovano nel Nuovo Testamento (considerato apocrifo) non siano pertinenti. L'ebraismo rabbinico tradizionale ritiene infatti che la venuta del Messia non si sia ancora manifestata.
Particolari riflessioni sulla figura di Gesù sono state fatte da un punto di vista ebraico da Leo Baeck nel suo saggio Il Vangelo: un documento ebraico, pubblicato in Germania nel 1938[1], ovvero nel periodo coincidente con la dittatura del Terzo Reich. In tale opera l'autore vuole dimostrare, attraverso l'analisi filologica dei Vangeli, che questi, "ripuliti" dalle sedimentazioni paoline di carattere teologicamente anti-giudaico, contengono il messaggio profondamente ebraico di Gesù, altri autori e la stessa Chiesa cattolica ritengono che Paolo di Tarso non sia anti-giudaico.
Le fonti ebraiche antiche se da un lato non citano Gesù[2] parlano del Messia, del Cristo, l'uomo che riporterà un ordine sulla terra e libererà il suo popolo. Esistono alcuni testi più tardi con ricostruzioni polemiche della sua vita (Toledot Jeshu), fra le quali la nascita di Gesù come frutto della seduzione di una donna di nome Myriam (Maria) da parte di un ufficiale romano di nome Pantera o Panthera. Questo trova apparente adito nel fatto che il nome Panthera era molto diffuso tra le truppe romane, ma la parola Panthera sembrerebbe piuttosto un equivoco gioco di parole per ridicolizzare l'affermazione cristiana di Gesù figlio della Parthénos, cioè figlio della Vergine. Questi due trattati narrano di Gesù basandosi su supposizioni molto fantasiose e furono usati come testi polemici ma di poco aiuto per una comprensione ed analisi critica o storica di Gesù.
In generale l'ebraismo vede Gesù come uno dei tanti falsi messia che sono apparsi nel corso della storia degli ebrei.[3] Gesù viene considerato come il più influente, e di conseguenza il più deleterio, di tutti i falsi messia.[4] Tuttavia, poiché la fede ebraica tradizionale afferma che il Messia non è ancora venuto e che l'Era messianica non è ancora giunta, il totale rifiuto di Gesù sia come messia che come divinità nell'ebraismo non è mai stato una questione centrale per gli ebrei. Al cuore dell'ebraismo di ogni corrente stanno la Torah (Pentateuco), i comandamenti, il Tanakh (Bibbia Ebraica) e il monoteismo etico, come indicato nello Shemà - e tutto ciò preesiste a Gesù anche se l'ebraismo è in continua evoluzione di pensiero.
L'ebraismo non ha mai accettato nessuno degli adempimenti pretesi dalle profezie che il cristianesimo attribuisce a Gesù. L'ebraismo proibisce inoltre il culto della persona come forma di idolatria, poiché la credenza centrale della religione è l'unità assoluta e singolarità di Dio.[5][6] L'escatologia ebraica ritiene che l'arrivo del Messia sarà associato con una serie specifica di eventi che non sono ancora avvenuti, compreso il ritorno degli ebrei nella loro terra e la ricostruzione del Tempio, un'era messianica di pace (Isaia 2:4[7]) e comprensione durante la quale "la saggezza del Signore" riempirà la Terra (Isaia 11:9[8]) e poiché gli ebrei credono che nessuno di questi eventi si sia verificato durante il corso della vita di Gesù (né se ne sono verificati in seguito, tranne che per il ritorno di molti ebrei alla loro terra dopo la fondazione del moderno Stato d'Israele), Gesù non è un candidato valido come Messia.