Forma dello strumento dell'esecuzione di Gesù
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La forma dello strumento dell'esecuzione di Gesù, comunemente chiamato in italiano "la croce", è stata oggetto di discussione da almeno la fine del XVI secolo, quando Giusto Lipsio[1] distinse varie forme di croci. Con una terminologia da lui inventata,[2] Lipsio distinse fra tali strumenti di esecuzione la crux simplex (un unico palo al quale legare la vittima o con cui impalarla) e la crux compacta (un congiunto di due pali o travi in legno). Usò il termine crux simplex per quello che nel Cupido crucifixus di Decimo Magno Ausonio è chiamato stipes.[3] Della crux compacta Lipsio distinse tre tipi, ai quali diede i nomi crux decussata (a forma di X), crux commissa (a forma di T) e crux immissa (a forma di †).[4]
La traversa della crux compacta (detta patibulum) non era necessariamente un tutt'uno con la parte verticale. Portata dal condannato al luogo della crocifissione, essa veniva lì unita al palo verticale, eventualmente con chiodi.[5][6]
Il patibulum era in uso, assieme ad altre modalità di crocifissione, già al tempo di Gesù. Ne parla, infatti, Seneca in un'opera scritta al tempo di Tiberio: alii brachia patibulo explicuerunt (= altri [crocifissi] allargarono le braccia sul patibulum).[7]